Eurythmics
Sweet Dreams (Are Made Of This)
Devo confessarlo, non sono mai uscito completamente vivo dagli anni Ottanta. Kay Sandvick e Discoring, il Supertelegattone con gli occhi più blu, blu, blu, blu di Paul Newman! e le gambe svolazzanti su scenografie pop-kitsch di Heather Parisi sono cartoline sbiadite ma ben stampate nei ricordi di ogni over 30. Allalba del decennio di Pacman e dei grilli parlanti Clementoni era in atto un astuto golpe musicale, che mirava a conquistare il mondo degli spot Ramazzotti e dei locali al neon sulla Montenapoleone con le note plasticose e pseudo-moderniste duna tastiera Roland U20.
Il synth-pop incuteva negli sfigati della sacra triade basso, batteria e chitarra lo stesso terrore di un famelico tremors spuntato a tradimento dalle viscere della terra, e avevano ragione accidenti: improvvisamente lintera umanità sembrava interessata solo a uneffimera sfilata di simpatiche giacche colorate con spalline oversize e a colossali spargimenti di lacca su criniere ossigenate (eccovi servito il buco nellozono, il nefasto surriscaldamento globale e i poveri pinguini trasformati nei prossimi immigrati senza permesso di soggiorno, incoscienti canzonettari che non siete altro). Un virus più subdolo e letale dellH1N1 e dei latrati di Laura Pausini.
Nel lustro dei fighetti dalle cotonature flamboyant, troppo occupati a sacrificare la musica sullaltare dellonnipotente dio drum-machine, svettava lindubbio talento melodico dei progressisti Eurythmics di Annie Lennox e del chitarrista-producer Dave A. Stewart. Lalgida voce soul della cantante scozzese e lacume compositivo di Stewart, che incastrava beffardo singulti electro-pop a certa new-wave brumosa e atmosferica (le radiazioni industrial dellinquieta Somebody Told Me, antipasto dei NIN meno radicali), erano un riconoscibile marchio di fabbrica che andava già oltre, lontano da qualsiasi tediosa disputa di superficie con i presunti rivali Yazoo o Human League.
Sweet dreams are made of this. Who am i to disagree? I travel the world and the seven seas Everybody's looking for something
Gli Eurythmics del 1983 erano campioni, ti cronometravano un basso pulsante da funk liquido nel party futurista di This Is The House (praticamente i Depeche Mode a Miami), erano quelli con il colpo maestro che non taspetti, come Bruno Conti che pennella lassist del secolo al Bernabeu, fanno la loro cosa e punto. E poi cera la trasgressiva androginia di Annie Lennox, così ambiguamente conturbante nel video della filastrocca digitale Love Is A Stranger, la sponda ideale negli eighties della neonata MTV allestetica glam di Ziggy.
Sweet Dreams (Are Made Of This), prodotto da Dave Stewart con Robert Crash e il bassista Adam Williams usando un casalingo otto tracce e synth analogici (il virulento Oberheim OB1 e lEDP Wasp), venne distribuito dalla RCA il 21 gennaio dellottantatre e riuscì a sbancare lento però implacabile le classifiche internazionali con i suoi singoli schiacciasassi, ottenendo quel successo soltanto vagheggiato dal duo inglese dopo il flop artisticocommerciale di In The Garden: paradossi di un album a low budget e registrato artigianalmente, nonostante un sound e una cura formale che spaccava. Il canto della Lennox era una sirena triste che consolava sperduti naufraghi a riva nelle notti di tempesta (Jennifer, malinconica invocazione tra gli spasmi finali dellelettrica), e disegnava suadente con i graffiti pop-art di Basquiat su skyline metropolitani dinsegne intermittenti e anime col cravattino (This City Never Sleeps, quando lart-rock incontra il soul uggioso di Inner City Blues).
Ma a regnare sovrana sul trono Eurythmics sarà sempre la celebre titletrack che ha comunque definito unepoca, coverizzata in quantità da pittoreschi personaggi sedotti dal pathos lugubreromantico (e ben poco new romantic) di criptiche liriche e tastiere wagneriane, una sensazione di brusco risveglio, un dolce requiem post-atomico, e quel clip memorabile con Annie vestita da uomo, i suoi capelli rossi e cortissimi, gli occhiali scuri dellimpassibile Dave e la mucca. Anche quello era immaginario da ultimi scampoli di guerra fredda, mai stata tanto cool e pervasiva. Ora alzi la mano chi almeno una volta nella vita non avrebbe voluto suonare quei stramaledetti sintetizzatori nella penombra di un locale fumoso, come fa Carlo The Freezer Verdone dietro la sua Iris Blond.
Some of them want to use you. Some of them want to get used by you. Some of them want to abuse you. Some of them want to be abused
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