V Video

R Recensione

8/10

Eurythmics

Sweet Dreams (Are Made Of This)

Devo confessarlo, non sono mai uscito completamente vivo dagli anni Ottanta. Kay Sandvick e Discoring, il Supertelegattone “…con gli occhi più blu, blu, blu, blu di Paul Newman!” e le gambe svolazzanti su scenografie pop-kitsch di Heather Parisi sono cartoline sbiadite ma ben stampate nei ricordi di ogni over 30. All’alba del decennio di Pacman e dei grilli parlanti Clementoni era in atto un astuto golpe musicale, che mirava a conquistare il mondo degli spot Ramazzotti e dei locali al neon sulla Montenapoleone con le note plasticose e pseudo-moderniste d’una tastiera Roland U20.

Il synth-pop incuteva negli sfigati della sacra triade basso, batteria e chitarra lo stesso terrore di un famelico tremors spuntato a tradimento dalle viscere della terra, e avevano ragione accidenti: improvvisamente l’intera umanità sembrava interessata solo a un’effimera sfilata di simpatiche giacche colorate con spalline oversize e a colossali spargimenti di lacca su criniere ossigenate (eccovi servito il buco nell’ozono, il nefasto surriscaldamento globale e i poveri pinguini trasformati nei prossimi immigrati senza permesso di soggiorno, incoscienti canzonettari che non siete altro). Un virus più subdolo e letale dell’H1N1 e dei latrati di Laura Pausini.

Nel lustro dei fighetti dalle cotonature flamboyant, troppo occupati a sacrificare la musica sull’altare dell’onnipotente dio drum-machine, svettava l’indubbio talento melodico dei progressisti Eurythmics di Annie Lennox e del chitarrista-producer Dave A. Stewart. L’algida voce soul della cantante scozzese e l’acume compositivo di Stewart, che incastrava beffardo singulti electro-pop a certa new-wave brumosa e atmosferica (le radiazioni industrial dell’inquieta “Somebody Told Me”, antipasto dei NIN meno radicali), erano un riconoscibile marchio di fabbrica che andava già oltre, lontano da qualsiasi tediosa disputa di superficie con i presunti rivali Yazoo o Human League.

 

“Sweet dreams are made of this. Who am i to disagree? I travel the world and the seven seas…Everybody's looking for something…”

 

Gli Eurythmics del 1983 erano campioni, ti cronometravano un basso pulsante da funk liquido nel party futurista di “This Is The House” (praticamente i Depeche Mode a Miami), erano quelli con il colpo maestro che non t’aspetti, come Bruno Conti che pennella l’assist del secolo al Bernabeu, fanno la loro cosa e punto. E poi c’era la trasgressiva androginia di Annie Lennox, così ambiguamente conturbante nel video della filastrocca digitale “Love Is A Stranger”, la sponda ideale negli eighties della neonata MTV all’estetica glam di Ziggy.

“Sweet Dreams (Are Made Of This)”, prodotto da Dave Stewart con Robert Crash e il bassista Adam Williams usando un casalingo otto tracce e synth analogici (il virulento Oberheim OB1 e l’EDP Wasp), venne distribuito dalla RCA il 21 gennaio dell’ottantatre e riuscì a sbancare lento però implacabile le classifiche internazionali con i suoi singoli schiacciasassi, ottenendo quel successo soltanto vagheggiato dal duo inglese dopo il flop artisticocommerciale di “In The Garden”: paradossi di un album a low budget e registrato “artigianalmente”, nonostante un sound e una cura formale che spaccava. Il canto della Lennox era una sirena triste che consolava sperduti naufraghi a riva nelle notti di tempesta (“Jennifer”, malinconica invocazione tra gli spasmi finali dell’elettrica), e disegnava suadente con i graffiti pop-art di Basquiat su skyline metropolitani d’insegne intermittenti e anime col cravattino (“This City Never Sleeps”, quando l’art-rock incontra il soul uggioso di “Inner City Blues”).

Ma a regnare sovrana sul trono Eurythmics sarà sempre la celebre titletrack che ha comunque definito un’epoca, coverizzata in quantità da pittoreschi personaggi sedotti dal pathos lugubreromantico (e ben poco “new romantic”) di criptiche liriche e tastiere wagneriane, una sensazione di brusco risveglio, un dolce requiem post-atomico, e quel clip memorabile con Annie vestita da uomo, i suoi capelli rossi e cortissimi, gli occhiali scuri dell’impassibile Dave e la mucca. Anche quello era immaginario da ultimi scampoli di guerra fredda, mai stata tanto cool e pervasiva. Ora alzi la mano chi almeno una volta nella vita non avrebbe voluto suonare quei stramaledetti sintetizzatori nella penombra di un locale fumoso, come fa Carlo “The Freezer” Verdone dietro la sua Iris Blond.

 

“…Some of them want to use you. Some of them want to get used by you. Some of them want to abuse you. Some of them want to be abused…”

 

 

V Voti

Voto degli utenti: 6,8/10 in media su 10 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
ROX 6/10
Teo 8/10
brian 5/10
Giamby 7,5/10
ManuWR 8/10

C Commenti

Ci sono 12 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

synth_charmer (ha votato 6 questo disco) alle 16:38 del 30 dicembre 2010 ha scritto:

chi ha paura del synth-pop?

Bellissima recensione, l'ho letta di gusto! Loro però sono il lato del pop anni '80 che mi è sempre piaciuto meno. E bravo Daniele che contribuisce a diffondere il verbo! per la felicità di Gulliver

benoitbrisefer (ha votato 6 questo disco) alle 17:36 del 4 gennaio 2011 ha scritto:

Loro però sono il lato del pop anni '80 che mi è sempre piaciuto meno.

Sul lato synth-pop '80 che non sono mai riuscito a sopportare ci metto gli insopportabili Spandau Ballet, i grotteschi Adam and the Ants di Prince Charming, i fastidiosi Heaven 17 e tanto altro ciarpame che non vale la pena di nominare. Sul side nobile invece Ultravox, John Foxx, Depeche Mode, Cowboys International, New Order. Gli Eurythmics personalmente gli ho sempre collocati a mezza strada, capaci di pezzi straordinari, ma anche di qualche caduta stilistica di troppo, con la convinzione che il talento della Lennox si sarebbe dovuto indirizzare verso altre strade, altri percorsi (sto pensando, per restare sul duo uomo/donna ad un'esperienza artistica eccezionale come quelle dei Cocteau Twins ad esempio...)

ozzy(d) alle 12:08 del 9 gennaio 2011 ha scritto:

di sweet dreams esiste solo la versione di marylin manson, che almeno è divertente. il resto degli eurythmics e tutto il synth-pop possiamo tranquillamente mandarlo al macero.

TheManMachine alle 1:00 del 11 gennaio 2011 ha scritto:

Daniele, sulle prime quattro righe della recensione mi verrebbe da dire che hai scelto di attaccare gli anni Ottanta dal lato più scadente e obliabile tra rossori di vergogna, ma è come dire che gli anni Zero verrano ricordati forse solo per Lady Gaga e gli Amici della moglie di Costanzo e poco altro. Però la recensione è molto ben scritta e ti faccio i miei più sinceri complimenti, bravo. Gli Eurythmics all'epoca erano molto considerati e sbancavano letteralmente nelle charts e nei concerti dal vivo, ma decisamente non hanno retto la prova del tempo. Non tornerei ad ascoltarli.

NathanAdler77, autore, alle 21:48 del 12 gennaio 2011 ha scritto:

Tutt'altro Man, ad esempio apprezzo "Dare" degli Human League e gli OMD (per non parlare di Gary Numan e i New Order)...E' quel cattivone di Gulliver che appena legge "synth-pop" aziona l'inceneritore!

Tornando al raffinato e più consono "electro-pop" degli Eurythmics, ci tenevo a sottolineare le superiori doti compositive di Stewart e il gran carisma lennoxiano rispetto alla media dell'epoca.

Questo è un gran bel dischetto (per molti un classico), fidatevi. E "Sweet Dreams" vanta numerose e disparate covers...

benoitbrisefer (ha votato 6 questo disco) alle 11:54 del 13 gennaio 2011 ha scritto:

Grazie Nathan per avermi ricordato che al mio appello, nella sezione nobile del synth-pop, mancavano ancora Human League, Gary Numan e gli OMD (sono l'unico che considera The Messerschmitt Twins uno dei brani più belli di sempre del genere?)e ci metterei anche i primissimi Simple Minds fino a Sons and Fascination

TheManMachine alle 16:05 del 13 gennaio 2011 ha scritto:

"e ci metterei anche i primissimi Simple Minds fino a Sons and Fascination" ----> ahhh, grazie benoit!! ). Nathan: hai ragione, è verissimo tutto ciò che dici sulle doti compositive di Stewart e il carisma di Annie. In particolare, di Stewart ricordo ancora adesso i suoi magnetici intermezzi chitarristici nei concerti live mentre Annie spariva nel retropalco per i cambi di mise. Ma la loro musica più di altri di quel periodo mi sembra accusare il peso del tempo. Adesso direi che a mio parere solo il loro album di debutto, che tu hai citato nella recensione, conserva spunti che lo rendono tuttora ascoltabile.

ROX (ha votato 6 questo disco) alle 19:26 del 13 gennaio 2011 ha scritto:

un bel disco... ma sicuramente preferisco il seguente Touch... anche se Sweet dreams è un pezzo ancora bellissimo nonostante la sua età

NathanAdler77, autore, alle 23:45 del 21 gennaio 2011 ha scritto:

Tra l'altro su "In The Garden" (prodotto da Conny Plank) suonano Clem Burke dei Blondie, Jaki Liebezeit e Holger Czukay (Can), Robert Gorl dei D.A.F. e Markus Stockhausen (figlio di Karlheinz)...I Simple Minds periodo 1980-'84 fanno gara a parte, una delle migliori band art-rock\wave dell'epoca.

brian (ha votato 5 questo disco) alle 10:33 del 15 febbraio 2011 ha scritto:

nonostante la ottima voce della lennox, questi invece sono gli anni '80 che detesto. meglio spandau o duran, almeno si mostravano per quel che erano!

Capitano83 (ha votato 8 questo disco) alle 12:57 del 19 aprile 2011 ha scritto:

davvero un bell'album, con il singolo apripista "Sweet Dreams" una delle migliori canzoni degli anni '80. un almbum per gli amanti dell'elettronica in perfetto stile "british".

Giamby (ha votato 7,5 questo disco) alle 18:46 del 29 ottobre 2014 ha scritto:

Disco cardine della new wave elettronica che anche solo per l'omonima canzone merita un plauso compiaciuto. Essere in grado di inventare e realizzare al meglio un evergreen come Sweet Dreams è cosa da pochi, anzi da pochissimi. L'album intero resta un classico di un periodo con luci ed ombre e il duo Stewart-Lennox sapeva il fatto suo, riuscendo a vendere per luce anche le ombre. Riascoltabile in varie occasioni con immutata godibilità.