R Recensione

6/10

Maps

We Can Create

Maps non è altro che lo pseudonimo dietro cui si nasconde tale James Chapman da Northampton, che ha registrato l'intero album in camera sua grazie a un 16 tracce; in realtà, l'approccio è tutto tranne che lo-fi, tanto che a "ripulire" e mixare l'opera è stato chiamato un esperto come Ken Thomas, già all'opera con i Sigur Rós, assistito da un altro nome di richiamo come Valgeir Sigurdsson (Bjork).

Spinto dal sostegno dell'NME, cosa rara per un artista pop, questa prima opera targata Mute mostra ben chiare sin dall'inizio le sonorità care all'artista: un'elettronica soft che richiama alla mente compagni di etichetta come i primi Depeche Mode e gli Erasure più riflessivi, ma anche lontane reminiscenze dei Boards of Canada. L'album parte in quarta e la doppietta iniziale lascia ben sperare: "So Low So High" e "You Don't Know Her Name" mostrano una discreta personalità e un songwriting ispirato,originale al punto giusto, fra tastiere anni ‘80 e ritmi programmati.

Il singolo "Elouise" suona come una versione iper-tecnologica degli Human League, fra tappeti di tastiere e linee vocali non invadenti che creano una gradevole atmosfera sognante. Già da "It Will Find You", però, le cose cambiano: il tono si fa più dark, un sample insistito accompagna sintetizzatori cupi e ossessivi, a metà fra Low e tentazioni shoegaze alla My Bloody Valentine. E dalla successiva "Glory Verse" emerge il difetto fondamentale del disco, un'ambizione eccessiva che - alla lunga, non sostenuta da idee melodiche adeguate - invece di emozionare, annoia.

Peccato, perchè "To the Sky" è un buon pezzo di pop elettronico e "Lost My Soul" sembra uscita dalla penna di Wayne Coyne, ma il trip hop fuori tempo massimo di "Back + Forth" non fa che confermare i dubbi già espressi. La finale "When You Leave" si assesta su un mid-tempo senza troppe pretese, né carne né pesce come purtroppo spesso accade a quest'opera; se quindi il tentativo di unire alt-rock americano e sonorità elettropop (mix riuscito così bene ai Postal Service) è senz'altro apprezzabile, è soltanto dalla prossima opera che si potrà valutare il reale valore artistico dei Maps.

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