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R Recensione

6,5/10

Metronomy

Love Letters

Passare in meno di otto anni da una stanzetta del Devon (producendo beat e suoni a bassa fedeltà: il DIY rave punk dell'esordio) alle performance in grandi arene americane, davanti a migliaia di astanti e potenziali nuovi fan (il tour di "Mylo Xyloto" di spalla ai Coldplay) ha rappresentato per Josh Mount e per i suoi Metronomy un bel salto di esposizione mediatica. Va da sé, ampiamente meritata.

Un passaggio dal buio alla luce dei riflettori favorito dall’onda buona di “The English Riviera” (nomination al Mercury Prize del 2012; disco d’argento in U.K e posizioni di riguardo in Francia; la hitThe Bay” da tredici milioni di visualizzazioni su youtube), tra le vette artistiche anni ’10 in terra d’albione. Vetta perché ha saputo miscelare brillantemente i tipici tratti dominanti (pop ed electro) della band inglese, incastonandoli ed esaltandoli tanto in scenari funky (gli scatenamenti improbabili sulla riviera inglese: “The Bay”) quanto in brani art-new wave dall’esoterismo compatto (“She Wants”) o "futuristico" (“Corinne”).

Insomma: i Metronomy erano riusciti a rendere trascinante una formula già di per sé votata all’eterogeneità: ed ecco che scorci di primavere indie pop di pura delizia (“Everything Goes My Way”), bizzarrie minimalistiche synth pop (“Loving Arm”) o fragori cromatici delle tastiere (i kazoo all’impazzata di “Some Written”) si bilanciavano grazie ad un’attitudine a cavallo tra indie e mainstream. Gli innesti della batterista (un'entusiasmante Anna Prior) e del bassista (Olugbenga Adelekan), poi, hanno facilitato un salto di qualità che, dopo "Pip Paine (Pay The £5000 You Owe)" e “Nights Out“, sembrava fisiologico.

Per il nuovo disco ci si aspettava sì un approccio sulla falsa riga del precedente lavoro, ma che venisse curvata al massimo grado anche l'estetica raggiunta. In senso ancor più easy listening. E invece ecco i Metronomy votarsi ad un'idea molto, molto rischiosa, soprattutto in questa fase (e alla luce, lo si ripete, del successo di "The English Riviera" e del tour coi Coldplay): realizzare il loro disco più metodico. "Love Letters", registrato in analogico (al Toe Rag Studios di Londra) e dalla produzione misurata, fa della linearizzazione del songwriting la sua sofisticata arma; in cui va ai synth e ai beat (in alcuni casi algidi, in altri avvolgenti) il compito di impalcare circolarità e ricorsività strutturali, nonché stati 70s e 80s ora esposti, ora sottotraccia. Così facendo, i nostri hanno messo da parte (lo scatenamento e l’entusiasmo pop non è mai stato così limitato in un disco dei Metronomy) quell’apporto di indie pop scatenante e groove funky rivelatosi sostanziale nell’economia del precedente “The English Riviera”.

Ne esce, in effetti, un disco a suo modo spiazzante: dal sound stagnato, in balia di una sottrazione ragionata che annienta consapevolmente gli sviluppi di molti brani. “Monstrous” (scientifica nel suo scheletro sincopato, con tastiera girovaga dal sapore contaminato), “The Most immaculate Hair“ (ballata da field sound incastrato nella ciclicità di un giro ossessivo; abbellito dalla girandola melodica di un synth perfetto per nostalgia proiettata), “I’m Aquarious”, “Upsetter” (compromesso tra ballata pop e scheletro electro pop) e “Call Me” (Kraftwerk e spunto soul – r’n’b di Mount centrato) esemplificano quanto scritto.

C’è poi un’anima pop sixties/seventies, con coretti e armonie, nemmeno troppo liminale lungo tutto il disco, messa in primo piano da brani come “Love Letters” e "Month Of Sundays"; e infine un'ultima, quella synth pop, così dominante nei primi due dischi e qui infelicemente centellinata - “Reservoir” e “Boy Racers”.

Persa la spinta pop e l'eterogeneità del precedente lavoro, con “Love Letters” i Metronomy dimostrano di aver realizzato un disco ingessato nelle proprie (seppur creative) idee compositive; tutto a scapito di una resa d'insieme che, precaria e un po' noiosa,però non penalizza l'efficacia di alcuni ottimi suoi episodi ("The Most Immaculate Hair", "Reservoir", "I'm Aquarius", "Love Letters"). 

Apprezzabile il rischio e il coraggio dimostrato dai Metronomy e da Mount; non completamente il risultato.

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