Milosh
Jetlag
Il soul androgino di Mike Milosh ha rappresentato, per i più, una meravigliosa sorpresa di questo 2013; ma al contempo, con "Jetlag", ci si è resi conto di come funzioni meno in versione solo.
La sensazione è che il canadese, in questo suo quarto disco, non abbia posto i dovuti vincoli alla idee compositive ed espressive; limiti in grado di curvare il suo canto in funzione delle strutture emotive dei brani, come appunto accadeva nel debutto del (sgomenta, sì, ma a parole del nostro) side project Rhye, "Woman" - in coppia con Robin Hannibal.
Sicché, sottratta lestetica sophisti pop, gli inserti melodici e orchestrali, le rifiniture analogiche in senso funky e le sospensioni malinconiche all'apice dello stacco carnale e sensuale, ciò che rimane è un electro pop (sì nel limbo 80, ma allosso in senso IDM ed indietronico) trattato (una delle poche eccezioni è rappresentata da "Slow Down", ballata dilatata per piano) che si rende contraltare alle dinamiche vocali e ai contenuti idealizzati di Milosh. Ciò, non credo a torto, ha reso molti brani minori in termini di comunicatività emozionale.
Certo, una manciata di episodi in "Jetlag" (co-produce la moglie Alexa - anche protagonista dei due video rilasciati) falsificano quanto scritto (la compenetrazione di beat, movimento di piano e sospensioni appassionate di This Time; il contrasto tra il tratto nordico e le screziature del synth, in Skipping), e qua e là si trovano idee e suoni ottimi (Hear in You, Stakes Aint High): ma il difetto più esposto, a comprometterne la riuscita in blocco, è il cedimento in buona parte estetico proiettato all'ascolto.
Roba non da poco, quando l'ingrato paragone da fare è con "Woman" - ossia uno dei masterpieces di quest'annata che va esaurendosi.
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