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R Recensione

7/10

Troumaca

The Grace

Se prendi il nome di un villaggio dei caraibi dalla pronuncia incerta (Truh-mu-cuh, pare) da cui provengono i tuoi, indossi camicie sgargianti a motivi tropicali e ti metti in copertina davanti a uno sfondo di palme stai cercando di trasmettere un immaginario ben preciso. Anche se tu e la tua band provenite dall’Inghilterra, alla fine dei conti, da Birmingham per la precisione, città che mette a segno un altro colpo con i Troumaca. Stavolta niente indie rock che pesca nei nineties però. In “The Grace” scorre un altro ritmo, un R’n’B dalle tinte tropicali che non ha ancora deciso in che direzione andare. Se verso un’elettronica dai contorni sfocati un po’ Glo-Fi, se verso il nuovo indie britannico ‘00s o verso qualcosa di più smaccatamente dance.

Trees” in apertura, propende per il dancefloor, echi di glo-fi e una sovrapposizione degna di Caribou in chiusura fanno trarre conclusioni affrettate. I beat non torneranno più così alti almeno fino in chiusura, e resteranno a volte sottopelle a pulsare fra synth ovattati, “Lady Colour” e “Layou”, due degli episodi migliori, fanno parte di questa categoria. La prima, a dire il vero, abbastanza diversa dal resto delle canzoni, potrebbe segnare il percorso di una prossima direzione, tutta costruita su un crescendo di synth evanescenti e note di pianoforte e un testo stringato ma ficcante “This is cosmic love coming from above, lady you’re giving me colour”. Degli oziosi Alt-J fanno capolino nella seconda invece, col suo sinuoso ritornello.

Sanctify” attacca come una canzone degli Everything Everything più sobri e sedati ma si evolve in un ritornello catchy da pop radiofonico in tutta naturalezza. La voce ricorre spesso al vocoder, giocando ad incastrarsi con i cori diventando quasi l’elemento ritmico portante; saranno le linee vocali a rimanere in testa, come quella di “Gold, Women and Wine” dal passo incalzante che profuma di soul. Da portare il tempo schioccando le dita.

In "Kingdom" ritorna il ritmo caraibico e i synth dal gusto ‘80s come potrebbe usarli Neon Indian, caraibi e glo-fi che tornano in “The Sun” e “Tiger Eye”, pop e patinata, che sembra di veder scorrere le immagini di una pubblicità di un resort un po’ kitch. Abbastanza inutile l’”Interlude” a metà album, invece.

Le canzoni funzionano per la maggior parte nella stessa maniera, costruite per sovrapposizione, secondo una logica che è più propria della musica elettronica. Ed è così che “The Grace” chiude l’album, iniziando sommessamente per sfociare in una festa di percussioni. I suoni non sono niente che non sia già sentito, ma il modo di combinarli è originale, secondo questa chiave tropicalista e le intuizioni melodiche sono abbastanza catchy da ficcarsi in testa per giorni. Occorrerà un evoluzione però; battere il piede e sognare spiagge tropicali può bastare al primo album, ma le strade intraprese sembrano buone.

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