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R Recensione

7/10

Christopher Owens

Lysandre

<<I may want to cut back on the rock approach. It could be anything, but it also could not be the next album. It could be an experimental EP and the next album could be a more traditional Girls album>>.

Potevano, o meglio dovevano suggerire un ben altro scenario, tali affermazioni; sicché un certo effetto lo restituisca il fatto di rileggerle, oggi - a più di sei mesi dai quei tre tweet di giustificazione (“I am leaving Girls. My reasons at this time are personal. I need to do this in order to progress”) e anticipazione dell’esordio solista di Christopher Owens. Sull’onda emotiva di “Father, Son, Holy Ghost” si è, in questo senso, perso di vista il carattere (la nevrosi), il modo di essere e l'essenza nel mondo di Owens.

Lo sforzo di resistere, persona (molteplicità di maschere), per via e nonostante un passato (segnato, negato) il quale definire ingombrante pare eufemistico (il riferimento principale circa l'infanzia nella comunità dei Children of God: nella recensione dell’ultimo lavoro dei Girls, un mio breve accenno biografico); ma anche la tenacia di ricominciare, e quindi riscattarsi attraverso la musica. Riuscirci: FSHG è infatti, già per molti, colonna portante dell’indie rock anni dieci - a stelle e strisce.

C’è poi un’altra dimensione che vale la pena considerare, variabile dipendente del suo carattere – invariabile, quindi. La fuga: nel momento storico della band (il duo Owens- Chet White) più esposto, quando la maggior parte della critica/dei fan si aspettano, certezza, il massimo risultato. O fuga presso Frisco, verso una vita meno consapevole (costante nel passato di Christopher: le dipendenze relazionali e tossiche); meditativa e nei sentimenti. Fuga e fuoco con Lysandre: non solo titolo e tema concettuale dell’album, ma esperienza reale risalente al primo tour dei Girls - in scorribande, invischianti, parigine.

C’è anarchia d’attitudine (“Voglio essere qualcuno che scrive sulla sua vita, al suo ritmo, che può decidere di scrivere un album come questo quando vuole” dirà al New York Times) nella tutto sommato eterogeneità dell’esordio solista (per Fat Possum): il trait d’union idealizzato e nostalgico ‘Lysandre’ non appesantisce un amalgama fatta di inserti jazzistici, raccoglimento cantautoriale, surf ancheggiante, e pregevoli proiezioni fiabesche. Il folk si fa qui genetica, sì in più di una declinazione (specie nei fiati e nell’uso della chitarra), a purificare e separarsi-individuarsi dall’estetica anche svenata (meraviglia) dei precedenti lavori (“Album”, in particolare).

L’incontro con “New York City” è un tripudio sfatto di sax e inebriante groove; “Part of Me” acceca nelle tonalità agresti, da architettura complessa e dinamica coesa. L’ancheggio schietto in “Here We Go Again”, via pose surf-pop (elettricità catchy), è aggraziato dai raddoppi di voce femminile (la nuova compagna) e dalle armonie vocali: in una parola, eccitante. Nelle rese acustiche in continuità con “Father, Son, Holy Ghost” (“Saying I Love You”, “Just a Song”: non avrebbe sfigurato, anzi, in “Lysandre”) è bene segnalare “Love is in The Ear of Listener” (emersioni, nei vuoti, di pop e folk), la pioggia dolente dagli intarsi e nella melodia pervasiva di “A Broken Heart”, le fioriture e gli intrecci armonici di “Everywhere You Knew”. Convince meno “Riviera Rock”, la quale nei tratteggi jazzati (una qualche effusione ethio?) e di chitarra acustica perde in consistenza, arrivando a banalizzare il theme - laddove il reprise più incisivo risulta “Closing Theme”: ondate emotive e stacco grave di piano).

Le sensuali liriche di “Here We Go” (“Hair on my head, tongue in my mouth, I have got it all figured out”), in sottofondo una New York onirica, ricordano come sia fondamentale per l’uomo possedere (o idealizzare) una musa-contenitore, che permetta di pensare ed esprimere i propri sentimenti (gli elementi beta purificati dalla funzione alfa, direbbe un certo Bion). Ed è quindi “Lysandre” unica fonte di luce: affresco di passione (la chitarra inebriata) leggerissimo, pop (l’innocenza dei versi).

Per concludere: c’è immediatezza, anche teatrale e concettuale, in questo esordio (produce Doug Boehm, nuovamente) di Owens; rafforzata da un minutaggio ridotto, il quale esalta la compattezza insita in ogni singolo episodio. Compattezza che, ad essere onesti, ad un primo ascolto pareva esaltare sì la gestalt, ma di contrappasso affossare i singoli episodi. Di frutti maturi da cogliere, al contrario, ce ne sono – lo si è scritto. 

Non sappiamo se questo tassello, primo, sarà decisivo per progettare una solida carriera solista: l'attenzione, e le lodi, intorno ad Owens si sono comunque già formate (su tutte, la copertina di "Fader") - e questo può far ben sperare. Non ci stupirebbe, altresì, una suo nuovo slancio: un ritorno ai fasti dei Girls, o una collaborazione più estrema (perché no, ancora col fido Ariel Pink) non sono da escludere. Intanto, prescindendo da tutto, abbiamo tra le mani il primo bel lavoro del 2013.

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Voto degli utenti: 6,2/10 in media su 7 voti.
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sfos 4/10
brian 6,5/10
rael 7/10

C Commenti

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salvatore (ha votato 7 questo disco) alle 11:12 del 14 gennaio 2013 ha scritto:

Ho dovuto operare qualche "recupero" dell'anno appena passato, ma ora mi dedico ad Owens comme il faut... " A broken heart" è spettacolare e la recensione pure!

Franz Bungaro (ha votato 6 questo disco) alle 11:49 del 14 gennaio 2013 ha scritto:

Io non sono mai riuscito ad apprezzarlo, nè con i Girls (tolta Vomit, che è grandiosa) nè ora. Questo disco, che mediamente mi piace di più di "Father eccettera" ha molti più rimandi alle atmosfere del citato Ariel Pink (RIviera ROck e Here we go, in particolare), ma ancora una volta mi sembra una accozaglia di roba carina (che il più delle volte però fatica pure a stare assieme), ma niente di più...boh, quando non scatta non scatta...secondo il mio modestissimo parere, è sopravvalutato, ma magari mi sbaglio. Se dei Girls salvavo alla grande Vomit, qui salvo "A broken Heart". Mauro invece sempre lucidissimo.

sfos (ha votato 4 questo disco) alle 12:36 del 14 gennaio 2013 ha scritto:

Per me è un disco al limite dell'imbarazzante. Non sono un estimatore dei Girls, è vero, escluso qualche pezzo isolato, ma qui Owens mi sembra davvero carente di idee e ridicolo nel songwriting; stucchevole già al primo ascolto, poi quel tema melenso che si ripete a ogni traccia in tutte le varianti possibili mi pare proprio una espediente per allungare il minutaggio. Pessimo disco.

nebraska82 (ha votato 6 questo disco) alle 11:22 del 17 gennaio 2013 ha scritto:

non malaccio, ma mi aspettavo di più.

brian (ha votato 6,5 questo disco) alle 11:19 del 18 gennaio 2013 ha scritto:

Meglio i Girls, ma è pur sempre un buon "trastullio".

salvatore (ha votato 7 questo disco) alle 13:45 del 2 febbraio 2013 ha scritto:

Eccomi! Il disco mi è piaciuto parecchio! Quasi "imbarazzante", per riprendere un aggettivo usato da sfos, ma per quel suo approccio disarmante e privato.

Ripeto quanto detto nel mio primo commento: "A Broken Heart" - decisamente l'apice alle mie orecchie - è spettacolare! Molto belle anche "Here We Go", la title track e, tendenzialmente, tutti i brani più raccolti e folk, sebbene apprezzi l'eterogeneità della proposta (piacevolissimi anche i brani più estroversi: " Here We Go Again", "New York City").

Unico appunto: quella trovata del tema che ritorna, e che un po' mi annoia. Ma ci passo (quasi) completamente sopra...

Concordo stranamente con voto e disanima del recensore!