Christopher Owens
Lysandre
<<I may want to cut back on the rock approach. It could be anything, but it also could not be the next album. It could be an experimental EP and the next album could be a more traditional Girls album>>.
Potevano, o meglio dovevano suggerire un ben altro scenario, tali affermazioni; sicché un certo effetto lo restituisca il fatto di rileggerle, oggi - a più di sei mesi dai quei tre tweet di giustificazione (I am leaving Girls. My reasons at this time are personal. I need to do this in order to progress) e anticipazione dellesordio solista di Christopher Owens. Sullonda emotiva di Father, Son, Holy Ghost si è, in questo senso, perso di vista il carattere (la nevrosi), il modo di essere e l'essenza nel mondo di Owens.
Lo sforzo di resistere, persona (molteplicità di maschere), per via e nonostante un passato (segnato, negato) il quale definire ingombrante pare eufemistico (il riferimento principale circa l'infanzia nella comunità dei Children of God: nella recensione dellultimo lavoro dei Girls, un mio breve accenno biografico); ma anche la tenacia di ricominciare, e quindi riscattarsi attraverso la musica. Riuscirci: FSHG è infatti, già per molti, colonna portante dellindie rock anni dieci - a stelle e strisce.
Cè poi unaltra dimensione che vale la pena considerare, variabile dipendente del suo carattere invariabile, quindi. La fuga: nel momento storico della band (il duo Owens- Chet White) più esposto, quando la maggior parte della critica/dei fan si aspettano, certezza, il massimo risultato. O fuga presso Frisco, verso una vita meno consapevole (costante nel passato di Christopher: le dipendenze relazionali e tossiche); meditativa e nei sentimenti. Fuga e fuoco con Lysandre: non solo titolo e tema concettuale dellalbum, ma esperienza reale risalente al primo tour dei Girls - in scorribande, invischianti, parigine.
Cè anarchia dattitudine (Voglio essere qualcuno che scrive sulla sua vita, al suo ritmo, che può decidere di scrivere un album come questo quando vuole dirà al New York Times) nella tutto sommato eterogeneità dellesordio solista (per Fat Possum): il trait dunion idealizzato e nostalgico Lysandre non appesantisce un amalgama fatta di inserti jazzistici, raccoglimento cantautoriale, surf ancheggiante, e pregevoli proiezioni fiabesche. Il folk si fa qui genetica, sì in più di una declinazione (specie nei fiati e nelluso della chitarra), a purificare e separarsi-individuarsi dallestetica anche svenata (meraviglia) dei precedenti lavori (Album, in particolare).
Lincontro con New York City è un tripudio sfatto di sax e inebriante groove; Part of Me acceca nelle tonalità agresti, da architettura complessa e dinamica coesa. Lancheggio schietto in Here We Go Again, via pose surf-pop (elettricità catchy), è aggraziato dai raddoppi di voce femminile (la nuova compagna) e dalle armonie vocali: in una parola, eccitante. Nelle rese acustiche in continuità con Father, Son, Holy Ghost (Saying I Love You, Just a Song: non avrebbe sfigurato, anzi, in Lysandre) è bene segnalare Love is in The Ear of Listener (emersioni, nei vuoti, di pop e folk), la pioggia dolente dagli intarsi e nella melodia pervasiva di A Broken Heart, le fioriture e gli intrecci armonici di Everywhere You Knew. Convince meno Riviera Rock, la quale nei tratteggi jazzati (una qualche effusione ethio?) e di chitarra acustica perde in consistenza, arrivando a banalizzare il theme - laddove il reprise più incisivo risulta Closing Theme: ondate emotive e stacco grave di piano).
Le sensuali liriche di Here We Go (Hair on my head, tongue in my mouth, I have got it all figured out), in sottofondo una New York onirica, ricordano come sia fondamentale per luomo possedere (o idealizzare) una musa-contenitore, che permetta di pensare ed esprimere i propri sentimenti (gli elementi beta purificati dalla funzione alfa, direbbe un certo Bion). Ed è quindi Lysandre unica fonte di luce: affresco di passione (la chitarra inebriata) leggerissimo, pop (linnocenza dei versi).
Per concludere: cè immediatezza, anche teatrale e concettuale, in questo esordio (produce Doug Boehm, nuovamente) di Owens; rafforzata da un minutaggio ridotto, il quale esalta la compattezza insita in ogni singolo episodio. Compattezza che, ad essere onesti, ad un primo ascolto pareva esaltare sì la gestalt, ma di contrappasso affossare i singoli episodi. Di frutti maturi da cogliere, al contrario, ce ne sono lo si è scritto.
Non sappiamo se questo tassello, primo, sarà decisivo per progettare una solida carriera solista: l'attenzione, e le lodi, intorno ad Owens si sono comunque già formate (su tutte, la copertina di "Fader") - e questo può far ben sperare. Non ci stupirebbe, altresì, una suo nuovo slancio: un ritorno ai fasti dei Girls, o una collaborazione più estrema (perché no, ancora col fido Ariel Pink) non sono da escludere. Intanto, prescindendo da tutto, abbiamo tra le mani il primo bel lavoro del 2013.
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