R Recensione

7/10

Kings of Convenience

Declaration of Dependence

Quest’estate sono stato in Portogallo. Lisbona è una gran bella città, ma Porto di più. Storta, marinara, decadente. Un suo quartiere estremo dà sull’oceano. Sulla spiaggia, con gli amici, ci siamo svaccati in un baretto lounge all’ora dell’aperitivo. Puff sopra tavole in legno, la freschezza della birra e lo sfondo delle onde al tramonto: nient’altro. Quando hanno passato “Misread” alla radio il mondo intero, per tre minuti, sembrava essersi accordato magicamente nella migliore delle combinazioni possibili. Perché i Kings of Convenience, con la loro delicatezza acustica nata tra i cieli tersi del nord ma esportabile ovunque, sono tra i pochi musicisti a conciliarsi perfettamente con certe tregue di pace. Mica è poco.

Erlend Øye e Eirik Glambek Bøe si sono conosciuti nel 1986 a una gara di geografia in una scuola di Bergen. Vinse Erlend. Da allora hanno deciso di fare musica, loro due soltanto, re della convenienza per ciò che riuscivano a creare con una chitarra e un microfono ciascuno. Questo “Declaration of Dependence” («It's obviously a reference to me and Eirik», dice Erlend) arriva cinque anni dopo il successo (italiano soprattutto) di “Riot On An Empty Street”, e dopo che Øye, con il progetto parallelo dei The Whitest Boy Alive, aveva sperimentato con due dischi non male (“Dreams”, 2006, “Rules”, 2009) sonorità dream-pop più piene e venate di elettronica. Qui, di contro, i due norvegesi vanno all’osso: bandite certe concessioni strumentali dei primi dischi, resta la più nuda essenzialità (niente batteria!), ma senza eccessi di intimismo malinconico, tanto che Øye può dichiarare: «“Declaration of Dependence” è l’album pop privo di percussioni e batteria più ritmico di tutti i tempi». Ballare con le chitarre, insomma.

Tutto, infatti, si snoda attorno ai vivaci intarsi delle sei corde, elaborati ma mai ossessivi, perché sempre ripuliti e sbrogliati da una produzione di totale limpidezza, mentre le sovrimpressioni vocali di Erlend ed Eirik li solcano come linee sulla sabbia; sono pochissime le aggiunte in fase di arrangiamento, giusto rari tocchi di piano (“Me In You”, “Freedom And Its Owner”) e di violino (“Boat Behind”, “Peacetime Resistence”), oltre a qualche rimbalzo di contrabbasso. Minimalismo new acoustic estremo, ma a ritmi più alti del passato. Così la cinquina iniziale del disco rimane tra le più incisive del duo, grazie a melodie di pura delizia pop (“24-25”) e a cadenze ballabili (“Mrs Cold”, “Rule My World”) che trasudano la distensione lounge ben incarnata nella consueta copertina autoritrattistica.

Qualche smagliatura più introversa, dalle pieghe nordamericane (“Power Of Not Knowing”, molto Simon & Garfunkel) o dall’aura quasi fiabesca (“My Ship Isn’t Pretty”), funziona come variante, ma è innegabile che gli episodi riflessivi, concentrati soprattutto nella seconda parte del disco (“Renegade”, “Scars On land”), riescano meno convincenti e dimostrino, a livello compositivo, il fiato un po’ corto. E però quella dei Kings of Convenience resta una (ideale) musica di fuga. Quiete dolce toccata dal sole, evasione a tinte morbide, svago che prende i toni delle foto di vecchie vacanze, abbandono totale a una grazia leggera, con una voluta ingenuità di fondo (così nordeuropea), rimangono i tratti di un’esperienza musicale – nella sua semplicità – esclusiva, che può dispensare ancora simbiosi perfette con certe poeticità delle nostre giornate. A Bergen, a Porto, o chissà dove.

 

Sito ufficiale: www.kingsofconvenience.com/

Myspace: www.myspace.com/kingsofconvenience

VIDEO

"Boat Behind"

"Mrs Cold"

V Voti

Voto degli utenti: 7,2/10 in media su 6 voti.
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george 7/10
REBBY 6/10

C Commenti

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Filippo Maradei (ha votato 8 questo disco) alle 0:04 del 18 agosto 2010 ha scritto:

Proprio un bell'album: delicato, romantico, isolante, da filmoni-pipponi mentali che manco...