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R Recensione

7,5/10

Laura Veirs

July Flame

I dischi che fa Laura Veirs sembrano usciti da quei vecchi libri illustrati per l’infanzia di Beatrix Potter. Te la immagini in una scuola elementare, con il suo aspetto minimale e gli occhialini da maestra di scienze naturali, che prende la chitarra folk sottobraccio e inizia a pizzicare le corde davanti una lavagna riempita di rocce e minerali, mentre tutti i piccoli alunni ascoltano silenziosi. Detto che in una classe italiana sarebbe un’impresa degna di Geronimo Stilton (e poi vuoi mettere "Guitar Hero 5" alle lievi atmosfere della bionda Laura?), con la spietata cura Gelmini faresti la figura del bolscevico che ha mire di proselitismo e propaganda sovversiva durante l’orario di lezione. Ma nel paradiso liberal della nostra autrice a Portland, nell’Oregon, accade regolarmente e conforta sapere che in posti diversi dalla penisola all’età dell’asilo già fai l’abitudine a caldi set acustici, piuttosto che ingozzarti nel weekend di malefici "happy meal" con sorpresa.

Semplicità: questa è la parola d’ordine del pregevole e vario menù di "July Flame", settimo lavoro in studio della sobria cantautrice dopo l’indie-rock un po’ forzato di "Saltbreakers" (2007). Semplicità che nel mondo soffuso e dai colori arcobaleno della ragazza nata in Colorado (e diventata folksinger conclusi gli studi di geologia e mandarino al Carleton College) si riflette nel suo album più maturo e completo con l’aiuto del produttore-strumentista Tucker Marine, compagno di vita, e del fidato collaboratore Karl Blau. "July Flame" è una sofisticata raccolta tra indie-folk e pop d’autore che recupera la spontanea essenzialità dei primi lavori, tredici intime ballate intessute dalla voce dolce e solare della pallida songwriter, con Jim James dei My Morning Jacket ai cori e gli inediti inserti orchestrali della delicata viola di Eyvind Kang e degli archi arrangiati da Stephen Barber. La musica di Laura contempla suggestivi tramonti di folk introspettivo su testi di meditata leggerezza ("I Can See Your Tracks", l’organo e banjo di "Where Are You Driving", l’intensa "Sleeper In The Valley") e l’alba di un alt-pop nobile e ispirato (la fascinosa melodia della titletrack, con quel passo corale in coda che cita zia Kate Bush, la luccicante slide-guitar del country-soul "Sun Is King" e il gioiellino "Silo Song", un Brian Wilson bucolico).

La "Fiamma Di Luglio", così erano chiamate le gustose pesche vendute da un fruttivendolo di Portland, illumina ben oltre gli intorpiditi cuori invernali di "Little Deschutes", è il raggio di luce che filtra dopo l’euforica pioggerellina primaverile di batteria e sax della spensierata, kinksiana "Summer Is The Champion". E se il limpido intrecciarsi degli impasti vocali e armonie acustiche di "Carol Kaye" sono la giusta dedica alla celebre bassista che suonò con Beach Boys e Love, il piano malinconico di "Make Something Good" arriva dove Cat Power non ha più voglia, persa nelle sue ottomila collaborazioni e in una scrittura imborghesita. Nel costante rigurgito new-folk della scorsa decade che ha generato una nidiata di talentuose cantautrici nord-americane (ho un debole per talune signorine con un’acustica a tracolla, lo confesso), diamo anche alla raffinata Veirs il suo bel posticino al sole. Un luminoso e benevolo "re" sole.  

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Voto degli utenti: 6,7/10 in media su 3 voti.
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C Commenti

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Giuseppe Ienopoli alle 16:58 del 11 dicembre 2011 ha scritto:

... suggestivi tramonti di folk introspettivo (?!) ...

... recensione intrigante e da verificare assolutamente ... mi auguro di condividere tutto e di più ... vado!