Mina Tindle
Taranta
"Dietro ogni grande uomo c'è sempre una grande donna". La citazione - oltre ad essere vecchia e aggiornabile ("dietro ad ogni moglie c'è un amante senza mutande" cantava Paolo Conte) - è anche imprecisa: cosa ci fa la donna in questione dietro quest'uomo? Vuole pugnalarlo? Vuole spingerlo giù dal balcone? E dietro un piccolo uomo cosa c'è? Una donna incapace? E perchè l'uomo deve stare davanti? Non sarebbe meglio stare affiancati?
Ecco, risolviamola così: intorno ad ogni uomo c'è sempre una donna. "Nei paraggi", diciamo. Non importa che l'uomo sia grande o piccolo, omosessuale o eterosessuale, bello o brutto, intelligente o leghista. Fin dall'alba dei giorni, il Signore si è accorto della condizione meschina dell'uomo, allora ha creato la donna. Per fargli prendere decisioni ("mangiamoci sta mela e poi si vedrà"), per tutelarlo, per consolarlo, per svegliarlo. Abbiamo tutti bisogno di una donna - almeno una - nella vita: una mamma, una moglie, un'amante, una puttana, una badante (generalmente in questo preciso ordine cronologico).
Non stupisce dunque, che nelle attività più degradanti (la politica, il campionato di calcio, gli sport di lotta, il management aziendale) le donne scelgano una posizione defilata, invisibile o disinteressata mentre abbiano sempre conservato un ruolo da protagoniste nelle arti e in generale nella bellezza, nell'amore.
In musica, ad esempio, è sempre un via vai di donne e relativi innamoramenti: da Cristina D'Avena a Madonna, da Joan Baez e Nico alle nuove leve (Fatoumata Diawara, Hindi Zahra, io lo ripeto...) attraverso P.J. Harvey, Cat Power, Feist, My Brightest Diamond...
L'ultima in ordine cronologico è francese ("ah, l'amour..."), è bella da schiantare il cuore, e rinverdisce i fasti di un genere - il folk-pop - che ha sempre ricevuto i contributi migliori dalle musiciste in gonnella. Che rimandi ai momenti più lucidi del suo idolo Cat Power ("Echo", "The Good"), che si perda in delicatezze bucoliche alla Marissa Nadler ("Allegria", "Demain"), che opti per soluzioni ritmiche "radiofoniche" simili a quelle di Leslie Feist ("Lovely Day", "Too Loud"), questa 28enne dal volto immacolato riesce nel miracolo di ammaliare senza togliere respiro al piacere "pop" dei suoi brani, riesce a far vibrare le corde vocali con una naturalezza disarmante, riesce - per citare l'amico che mi ha segnalato l'esistenza di questa divina creatura - a "interpretare la perfezione".
Scritto e prodotto in collaborazione con JP Nataf (vero e proprio artigiano folk francese), "Taranta" trae la sua ispirazione dall' Italia (la "taranta" del titolo è proprio quella, in omaggio ad un amico pugliese della Tindle), dalla Francia (c'è l'ombra di Keren Ann e Coralie Clement negli ammiccamenti amorosi di "Pan") dagli USA (echi di Hope Sandoval), e la riversa in un disco d'esordio compatto, compiuto e sorprendente. Coronato - e qui arriva l'eccellenza - da una voce aliena, che rispetta il protocollo-chanteuse solo nella delicatezza dei toni e riesce una volta per tutte ad affogare l'incubo Carla Bruni nel gelido mare normandico. E da un poker di brani che non danno scampo: le accelerazioni di "Sister", tutta giocata tra up-tempo e bridge pericolosamente sospesi nell'aria, l'apertura corale e maestosa di "Bells" (andamento mistico, la Bjork di "Homogenic" virata in chiave acustica, un senso di serenità difficilmente descrivibile a parole), il singolo spaccaclassifiche (magari) "To Carry Many Small Things" e il minuto purissimo di "Time Writer", con la voce di Mina mandata in loop e sfumata su una base essenziale, a ricordarci quanto sia facile per una donna di talento far impazzire gli uomini.
Allora lo ammetto (e cito ancora l'amico-segnalatore): "questa donna mi spettina".
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