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R Recensione

6/10

Stornoway

Beachcomber's Windowsill

Piccoli folk/barbuti crescono.

Questo titolo calzerebbe a pennello agli Stornoway, se non fosse che i nostri inglesini, sono talmente giovani da avere più problemi di acne che di barba. Infatti, peluria a parte, le peculiarità per accedere all’appellativo di nuovi Fleet Foxes ci sono tutte: strumentazione (quasi) esclusivamente acustica, cori celestiali, atmosfere che vanno dal bucolico all’agreste e, particolare non meno importane, camicie di flanella rigorosamente a scacchi.

Ma non solo Pecknold e soci tra le influenze di questi ragazzotti britannici, infatti in questo Beachcomber's Windowsill, loro album d’esordio, troviamo tanto i Mumford and Sons quanto i Local Natives, tanto i Leisure Society quanto i Noah and the Whale.

Derivativi dunque, ma non per questo scontati e ripetitivi, gli Stornoway possono contare molte frecce al loro arco. Prima fra tutte la voce del proprio leader, l’imberbe Brian Briggs, capace di riempire da sola i possibili vuoti dell’album e di illuminare di una solarità contagiosa ogni pezzo. Esempio di quel che ho appena detto è l’iniziale “Zorbing”, primo singolo del disco, perfetto pezzo pop, godibile dalla prima all’ultima nota. Parte il secondo pezzo, “I saw you blink”, e si rimane ammaliati dagli splendidi incroci tra la voce di Briggs ed i ricorrenti coretti, non male anche la discreta tastiera dance che ben si lega ad una strumentazione del resto prettamente folk.

La atmosfere si addolciscono ancora con “Fuel up”, delicata ballata che ci porta direttamente nella quiete di un tramonto domenicale nelle campagne inglesi.

Uno splendido violino ci introduce “The coldharbour road”, portandoci però fuori strada, poiché il pezzo, partito come una ballata celtica, si trasforma ben presto in una cavalcata pop perfettamente a metà strada tra i Coldplay e i Death Cab For Cutie. Stessa sorte per la successiva “Boats and trains”, tranquilla ballata pianistica che si apre splendidamente nel finale.

I Mumford and Sons entrano prepotentemente in scena nella corale ed 'alcolica' “We are the battery human”: basta chiudere gli occhi per entrare con loro nel pub in una deliziosa serata di primavera!

A dispetto del nome, “Here comes the blackout”, il sole ed il buon umore trionfano anche in questo pezzo dove non è difficile incontrare i Thrills, per chi se li ricorda ancora…

La nervosa “Watching bords” rappresenta la parentesi rock del disco, un rock molto vicino ai Pete and the Pirates, per intenderci.

Giunti quasi in chiusura, come in una bella giornata di sole spesa all’aperto, affiora un po’ di stanchezza, i toni si incupiscono ed ecco che le intonazioni corali lasciano il posto al sussurro di “On the rocks”, al folk didascalico di “The end of the movie” fino alla ninnananna di “Long distance lullaby”.

Ottima prova ragazzi, ora sta a voi non fare la fine di Conor Deasy e soci.

 

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