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R Recensione

7/10

LA Vampires featuring Matrix Metals

So Unreal

Dopo la collaborazione con Zola Jesus, torna la padroncina della Not Not Fun LA Vampires per un altro lavoro a quattro mani, stavolta non più in campo dark-sperimentale, ma in pieno territorio ipnagogico. Matrix Metals, alias Outer Limits Recordings, ossia Sam Meringue, è senz’altro, con James Ferraro, uno degli hypna-artisti più produttivi e meno aleatori: pezzi come “Tanning Salon” sono apici del micro-genere, e dischi come “Foxy Baby” ne sono un ragionato manuale. Trash ottanta, jingle che diventano canzoni a zero fedeltà, suoni da cassette inceppate, plastiche, Casio, sbrilluccicume ossigenato, psichedelia del basso musicale.

La presenza del cantato fuori tono di Amanda Brown (= LA Vampires) fa aumentare di una spanna il gradiente pop del disco, ma tutto sommato si resta in ambiti psych-shitty sfilacciati. A distanza, per dire, dal versante glo-fi, che pure in alcuni episodi viene lambito: la title-track, ad esempio, parte tale e quale a un brano qualsiasi del Washed Out spiaggesco di “Life of Leisure”, e si propone forse come anello di congiunzione definitivo tra le due anime del baraccone hypna-chill (quella visionaria/new age/avant tipo Ferraro e quella poppissima tipo Neon Indian). 8 minuti e mezzo di basi italo rallentate, ghiribizzi di tastiere giocattolo e vocalismi sfocati: in altre parole, una cover drogata di una cover giocosa di un pezzaccio electro-truzzo scritto da un italiano impomatato nel 1982.

Più retro-futurista schizoide il resto del disco, dalla strafatta “Still Goin’ Down”, percossa da beat pesantissimi e da echi impossibili (pasticche a go-go), alle onde quadre di “Don’t Dance Alone”, agli antri umidicci con super-synth di “Make Me Over”. Nemmeno in “Berlin Baby”, dove alle percussioni sembra lavorare Sun Araw (tribalismi, insomma: spiagge vulcaniche) e dove il tiro pop sarebbe bello invitante, la Brown modifica lo scazzo smorfioso del suo cantato-parlato, che tocca il suo picco nelle spire stonate di “How Would U Know”. Matrix Metals, ai suoi servigi, limita un po’ le divagazioni, ma d’altronde la ripetitività con scopo frastornante era già nel suo repertorio, e pure il basso dub-ipnotico di Britt Brown va in questa direzione.

La scintilla memoriale che dovrebbe scattare nei dischi hypna via riuso allucinogeno del materiale di scarto ’80, qua, funziona meno rispetto alle summe di Meringue e Ferraro (il cui ultimo lavoro per la Olde English Spelling Bee è forse il frutto più maturo e compiuto – e probabile pietra tombale – del genere), eppure non si sfocia mai nel Pop. Si resta tra le due dimensioni, per un disco che forse potrebbe diventare la via più diretta e sintetica di immergersi nell’America underground/Altered Zones 2009-10.

 

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