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R Recensione

6,5/10

Amari

Kilometri

Gli Amari sono i pomeriggi soleggiati passati con i libri chiusi ed il telecomando in mano, a setacciare il palinsesto non palinsesto della defuntissima Flux (quello sì, ce lo permetterete, a suo modo fenomeno sociale nell’era immediatamente pre-MySpace, altro catorcio del Nuovo Millennio ridotto a pantomima con silenziatore) a cercare di acchiappare il video di “Bolognina Revolution”, in perenne ricorsività. Sono la canzone pop italiana che faceva a pugni con i bassi e i synth, le melodie immediatamente memorizzabili, l’”indiespangled-fluo capace di ridersi addosso, almeno un disco – che è sempre lo stesso, inutile continuare a citarlo di recensione in recensione… – da tramandare ai posteri. Sono un gruppo di tardo trentenni che si rifiuta di crescere, ragazzi di periferia diventati songmaker – che non è songwriter, e fa rima con Riotmaker – e songmaker che, dopo averne provate di cotte e di crude per dimenticare loro stessi (invano!), mettono il punto a capo con inaspettata autorevolezza, la caratteristica che più si era fatta desiderare tra le pieghe distratte di “Scimmie D’Amore” ed il puro disimpegno di “Poweri”.

Se gli Amari sono una macchina che vive di nostalgia e si nutre di reminiscenza, “Kilometri” sceglie di adagiarsi da subito in toni caldi, tenui, misurati, confidenziali, con una “Aspettare, Aspetteròlo-fi (sembra di risentire i Lali Puna ovattati e minimali), bozzetto in 2/4 che fa da compendio (o da conta?) esistenziale per la loro generazione e che sfocia, con irruenza, nell’electro-pop anni ’80 di “Ti Ci Voleva La Guerra”. Ordinaria amministrazione. Addirittura, “Il Tempo Più Importante” si ritaglia un time-frame sanremese da caduta del Muro che fa storcere, senza appello, naso e bocca al contempo. I colpi da maestro saltano fuori altrove, con il bizzarro numero exotic – intarsiato di chitarrine malevole in levare e sommessi fiati bandistici – di “Africa” (cuore oltre Mediterraneo, testa saldamente ed armonicamente nazionalpopolare, con tanto di “Prova a spiegare la provincia a chi sta in Africa / Che non ci son leoni e la vita non gratifica, in Africa” candidata a tagline invernale), una title-track insolitamente languida che scivola su nuances opache, sorde drum machine ed accordi in minore e, soprattutto, la verve old school di “Rubato”, piccola pepita hip pop giocata su accenti ritmici e colorate frasi melodiche.

Non è un disco lungo, anzi, e, se dovessimo descriverlo con tre aggettivi, certamente “difficile” non rientrerebbe tra questi. Tuttavia suona strano, “Kilometri”, e non certo perché formalmente più serioso ed introverso dei precedenti. Pare quasi che gli Amari sfidino loro stessi, il loro status, il loro equilibrio, provando a ripartire da uno zero (un “nuovo” indie pop, un’estetica disincantata) che, in verità, è sommatoria di tante, piccole, iterate microfasi. Dariella, Pasta e Cera sono scivolati, nel passato, anche bruscamente. Accettandolo. E rialzandosi. Come quando viene bucato l’attacco de “La Ballata Del Bicchiere Mezzo Vuoto” ed il mondo attorno, anziché bloccarsi, subito ricomincia.

V Voti

Voto degli utenti: 8/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

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mendustry (ha votato 8 questo disco) alle 17:21 del 10 aprile 2013 ha scritto:

Il pop dovrebbe sparire. O dovrebbe suonare sempre così.