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R Recensione

9/10

Ariel Pink's Haunted Graffiti

Before Today

Premessa - Scrivere di un disco citando una marea di nomi può risultare poco salutare: per quanto un album possa essere complesso, spesso si può renderne l'idea con un paio di riferimenti, riempendo quindi i rimanenti spazi con semplici aggettivi. Molto più utile che sparare dieci, quindici nomi, magari distantissimi fra loro. Il disco di Ariel Pink però, a causa di una serie infinita di citazioni dirette (alcune delle quali ai limiti del plagio), costringe esattamente a fare una lunga serie di nomi: allo scopo di rendere rintracciabili le citazioni e il relativo lavoro di intarsio. Non si intende insomma asserire che Ariel Pink suoni al contempo come tutti gli artisti che nomineremo, sarebbe ben difficile.

Sull'album - L'ultimo lavoro uscito a nome Haunted Graffiti, pubblicazioni secondarie a parte, fu "The Doldrums", nel lontano 2004. Già all'epoca chi seguiva l'artista ne decantò le capacità melodiche, benché che i brani fossero scarabocchi lo-fi registrati in maniera indecorosa e raramente mutassero in canzoni ben strutturate. Col tempo la proposta si è andata levigando, sino a svelare sottointesi insospettabili per un'eroe della scena weird: "Can't Hear My Eyes", uscita come singolo nel 2008, potrebbe essere un brano dei Foreigner di "Double Vision", fatta salva una produzione ancora di stampo lo-fi.

Si arriva così al 2010 di "Before Today", disco di canzoni registrate come si deve, levigate, rigogliose. Partiamo dal già accennato turbine di citazioni più o meno spudorate: "Beverly Kills" riprende il basso di "Many Happy Returns" degli ABC, "Round And Round" quello di "Broken English" di Marianne Faithfull, la nuova versione di "Can't Hear My Eyes" (molto diversa rispetto a quella di due anni fa) ha spostato il baricentro dai Foreigner ai Journey (il ricamo di piano e chitarra che guida il pezzo rimanda di peso alla leggendaria "Who's Crying Now"). Lungo molti pezzi scorre una netta impressione di Fleetwood Mac '75-'87 (i cori in particolare, ma anche diverse trovate ritmiche), per quanto non si riescano a scovare riferimenti a canzoni precise (non posso escludere di non averli notati, in una simile giostra di camuffamenti). Si arriva persino al punk: la frase più rockeggiante di "Little Wig" è "Ever Fallen In Love" dei Buzzcocks, la sezione ritmica nella conclusiva "Revolution's A Lie" è quella di "Public Image" dei PIL.

Ciò che stupisce è quanto queste citazioni siano pretestuose: il disco ha difatti un suono ben preciso, filtraggio mediante l'occhio dell'attuale scena indie del pop di fine Settanta/inizio Ottanta, con un occhio di riguardo per l'AOR e le radio FM. Nonostante tutti i frammenti di puzzle che il musicomane Ariel Pink inserisce qua e là a tradimento, l'album è ancorato a un'idea dalla prima all'ultima nota, la persegue con testardaggine e gusto per la ricontestualizzazione. C'è il basso degli ABC, ma il pezzo non suona come gli ABC. Ci sono i cori dei Fleetwood Mac ma i pezzi non suonano come i Fleetwood Mac. C'è un passaggio dei Buzzcocks ma il brano è tutto tranne che punk. Una volta tanto si è costretti a fare nomi, non per far capire come suoni il disco, bensì come non suoni. Le citazioni servono esclusivamente a ricreare un'impressione, un paesaggio.

Una parte fondalmentale del disegno, genialità proteiforme delle melodie a parte, è affidata alla produzione, particolarmente omogenea, con suoni ben puliti e una sovraincisione forse pastosa, ma non confusionaria. Se lo scopo era di rimandare in generale al suono di quell'epoca, mettendo in ridicolo il quoziente di derivazione, non si può che attestare il trenta e lode.

C Commenti

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salvatore (ha votato 6 questo disco) alle 11:37 del 30 agosto 2010 ha scritto:

Diciamolo subito: Il disco è ben fatto e il suo ascolto piacevole.

A volte però (e, a mio parere, questo ne è un esempio) una grande abbondanza di intuizioni - peraltro interessanti assai - nasconde la mancanza di una idea (chiamiamola pure personalità) vera e propria.

Così, il primo ascolto è divertente, il secondo stimolante, dal terzo cominci a chiederti:" Ma chi è Ariel Pink?" E non riesci a darti una risposta... Per alcuni può essere un pregio, un indizio di genialità. Per me un limite.

Per concludere, un interessante - ma un po' gratuito - lavoro di (ri)mescolamento.

Utente non più registrato alle 13:05 del 30 agosto 2010 ha scritto:

Un juke-box di rimandi e riferimenti particolarmente brillante e gradevole come una pina colada sorseggiata in riva al mare. La scrittura non annoia mai e deo gratias non si corre mai il rischio di incappare nel mero revival. "Round And Round" e la spassosa "Menopause Man" le mie preferite. Ottima la recensione .

target (ha votato 7 questo disco) alle 21:14 del 30 agosto 2010 ha scritto:

C'è la radio di trent'anni fa col retrogusto degli scantinati dove Ariel Pink si sbizzarriva follemente da anni, ma c'è soprattutto una scrittura pop sopraffina. Un'uscita allo scoperto (che non vuol dire rinuncia totale alle freakerie, ma certamente una loro forte ripulita) che esalta la genialità delle melodie e la loro leggerezza. La truzzissima "Butt-House Blondies" (che a me ricorda persino schifezze tipo i Roxette, anche se non c'entrano niente) e "Can't hear my eyes" le mie preferite. Ottima la tua analisi!

fabfabfab (ha votato 8 questo disco) alle 22:07 del 30 agosto 2010 ha scritto:

Io resto affettivamente legato al primo Ariel Pink (quando sento "For Kate I Wait" non riesco a stare fermo), ma questo disco è più completo e - nel complesso - più compiuto, grazie a quella operazione di "ripulitura" che in molti auspicavano (anche qui, si vedano i commenti all'articolone sul glo fi). Se da un lato si è persa un po' di "imprevedibilità" dall'altra si è ottenuto un autore piacevole ("Fright Night"), piacione ("Bright Lit Blues Sky") ma sempre geniale ("L'Estat", "Butt-House Blondies" - che a me ricorda i Sonic Youth, a dimostrazione di come il ragazzo sappia ancora spiazzare l'ascoltatore).

REBBY (ha votato 6 questo disco) alle 10:53 del 31 agosto 2010 ha scritto:

Alla stregua di alcuni pittori e scultori(pop?)

Ariel Pink assembla materiali eterogenei, perlopiù

raccattati dalla spazzatura, riuscendo ad incollarli tra loro e dando a questo mix forme e

contenuti che, nella maggior parte dei casi,

stravolgono le intenzioni originarie. La sua

scrittura, perennemente in acido, riesce a

trasformare in musica quasi intellettuale melodie

e ritmiche spesso di origine edonistica o

superficiale. Talvolta il risultato a me pare

affascinante, altre volte tedioso (trovo fastidiose ad esempio Round and round e Beverly kills) e, in generale, geniale, ma effimero.

A mio avviso esagerato il 30 e lode del prof. FiR

(a proposito benvenuto eheh), che d'altra parte

aveva già dimostrato di esserlo esordendo con un

bel 1 appioppato all'ultimo National!

Cas (ha votato 8 questo disco) alle 13:26 del 31 agosto 2010 ha scritto:

uno scintilloso e schizofrenico caleidoscopio kitsch-pop. premiato!

Gasdisaster (ha votato 4 questo disco) alle 17:23 del 31 agosto 2010 ha scritto:

Ma solo io lo trovo terribilmente tedioso, scialbo e inutile, 'sto album?

E' possibile che a causa di un errore di produzione mi hanno rifilato completamente un altro album?

gull (ha votato 7 questo disco) alle 18:56 del 6 settembre 2010 ha scritto:

Tralasciando "Round and round" (a mio parere oscena!), e sorvolando qualche altra traccia poco riuscita (es. "menopause man"), questo per me è un gran bel disco Pop a 360°. A tratti irresistibile e godurioso. Gran talento, sicuramente. Altra ottima aggiunta!

bill_carson (ha votato 5 questo disco) alle 9:08 del 18 settembre 2010 ha scritto:

Bah

Dr.Paul (ha votato 8 questo disco) alle 20:43 del 6 ottobre 2010 ha scritto:

grande lavoro, grande maneggiatore di pop, peccato per due caciaronate lì in mezzo, cmq bello assai!

Utente non più registrato alle 19:44 del 13 ottobre 2010 ha scritto:

Ai primi ascolti ho pensato subito "uah, che figata!", peccato che siano bastati doppiarli gli ascolti per formarmi tutt'altra opinione. L'idea di portare nel lo-fi cianfrusaglie dance anni '70 e '80 può esaltare soltanto l'ascoltatore amante del lo-fi, per chi invece s'è dovuto sorbire durante l'infanzia i vari one shot riscopre l'acqua calda. Non so, fosse stato un album più cazzeggione, senza troppe pretese l'avrei apprezzato di più mentre il voler ficcare il mainstream in un genere tipicamente "di nicchia" mi è parso più un gesto da intellettuale borghese arricchito che tenta di trasformare in una moda d'elite un (vecchio) prodotto di massa. Questo intervento mi ha di molto allontanato dal progetto.

FeR, autore, (ha votato 10 questo disco) alle 8:34 del 14 ottobre 2010 ha scritto:

io sono tutt'altro che amante del lo-fi, e sono cresciuto a pane e one shot 80, e ritengo questo disco un capolavoro assoluto, pensa un po'.

mdishes (ha votato 5 questo disco) alle 10:49 del 14 ottobre 2010 ha scritto:

dubbi

la permanenza al 3° posto, per così tanto tempo, della classifica 2010 di questo lavoro mi fa sorgere dei seri dubbi sulla veridicità della graduatoria di quest'anno. spero lo inseriate

target (ha votato 7 questo disco) alle 12:29 del 30 maggio 2011 ha scritto:

Concerto carino ieri, con parti esaltanti ("Round & Round" su tutte, e pure "Bright Lit blue skies") e altre un po' più fiacche. Ariel in forma, comunque. Momento clue, durante l'ultimo pezzo, l'irruzione sul palco di una signora, del tutto fuori controllo, che grida "abbassate il volume" sul microfono del chitarrista (erano le 11 e mezza, per la cronaca) e che poi, col pubblico in semi-delirio, cerca di cavarsela da sola andando a tocchignare il mixer di Ariel. Il quale, esaltato pure lui, continua a cantare, risetta i volumi e la abbraccia. La folla, che si era un po' ammosciata, inneggia. Il bis è con Pink che fa "sshhh" "sshhh" in continuazione, dicendo che non vuole "andare nei guai".