Beirut
No no no
Io, Zach Condon me lo immagino scapigliato, che marcia fra paesaggi acquerellati suonando il suo ukulele col vento fra i capelli, in preda ad unirrefrenabile malinconia.
Arrivato con questo No no no al quinto episodio della sua carriera Zach ha deciso di fermarsi un attimo, riporre ukulele e chitarra nelle custodie e sedersi al pianoforte, vero protagonista di questa manciata di canzoni assieme allorgano, mezzora di pop barocco leggera e scorrevole.
Lafflato bohemienne scalcagnato sempre più trasfigurato in orchestrazioni composte.
E diciamolo subito, per quanto i pezzi siano gradevoli, si sente la mancanza di una spinta vitale, di varietà negli arrangiamenti; accade così che una linea melodica stupenda come quella della conclusiva So Allowed risenta di una certa piattezza condivisa con la seconda parte dellalbum, pur riprendendosi sul finale.
Invece la partenza è delle migliori. Sul solco già tracciato da canzoni come Santa Fe, Gibraltar, ci accoglie fra accordi di pianoforte sospesi e percussioni, in un gioco di rincorsa fra la frase melodica strumentale e la sezione ritmica mai così pronunciata.
Un po lo stesso meccanismo che ritroviamo in No no no dove rispunta fuori il Beirut più languido coi suoi gorgheggi daltri tempi.
Dicevamo di un certo appiattimento strumentale, è così che la combinazione accompagnamento (più o meno saltellante) di pianoforte più linea vocale struggente sottolineata dagli archi diventa un po il leitmotiv della restante parte dellalbum.
Sia essa lenta e trascinata (At Once, la già citata So Allowed o Pacheco dove lorgano si sostituisce) sia più andante (August Holland, fra le migliori seppur classicissima o Fener filastrocca di delicatissima fattura indie-pop).
Un po in disparte As Needed, strumentale colonna sonora dal sapore retrò che alterna arpeggi folk a sviolinate.
I Beirut si sono chiusi nel salone di una casa vittoriana, la mancanza degli spazi aperti la si sente anche nella varietà della strumentazione, mancano le fisarmoniche vagabonde e latitano le trombe festose ed acidule. La scelta funziona dove si mette a nudo la struttura sonora (citiamo di nuovo Gibraltar) esaltandone le componenti, pecca di cromatismo (in negativo) dove lapproccio è quello della classica composizione a firma Beirut, appesantendo quello che resta un ascolto facile.
Una normalizzazione che potrebbe rappresentare una nuova fase e speriamo non nasconda una mancanza didee, perchè comunque qui cè ancora abbastanza roba per rimettersi in marcia e riprendere il viaggio.
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