V Video

R Recensione

7/10

Beirut

No no no

Io, Zach Condon me lo immagino scapigliato, che marcia fra paesaggi acquerellati suonando il suo ukulele col vento fra i capelli, in preda ad un’irrefrenabile malinconia.

Arrivato con questo “No no no” al quinto episodio della sua carriera Zach ha deciso di fermarsi un attimo, riporre ukulele e chitarra nelle custodie e sedersi al pianoforte, vero protagonista di questa manciata di canzoni assieme all’organo, mezz’ora di pop barocco leggera e scorrevole.

L’afflato bohemienne scalcagnato sempre più trasfigurato in orchestrazioni composte.

E diciamolo subito, per quanto i pezzi siano gradevoli, si sente la mancanza di una spinta vitale, di varietà negli arrangiamenti; accade così che una linea melodica stupenda come quella della conclusiva “So Allowed” risenta di una certa piattezza condivisa con la seconda parte dell’album, pur riprendendosi sul finale.

Invece la partenza è delle migliori. Sul solco già tracciato da canzoni come “Santa Fe”,  “Gibraltar”, ci accoglie fra accordi di pianoforte sospesi e percussioni, in un gioco di rincorsa fra la frase melodica strumentale e la sezione ritmica mai così pronunciata.

Un po’ lo stesso meccanismo che ritroviamo in “No no no” dove rispunta fuori il Beirut più languido coi suoi gorgheggi d’altri tempi.

Dicevamo di un certo appiattimento strumentale, è così che la combinazione accompagnamento (più o meno saltellante) di pianoforte più linea vocale struggente sottolineata dagli archi diventa un po’ il leitmotiv della restante parte dell’album.

Sia essa lenta e trascinata (“At Once”, la già citata “So Allowed” o “Pacheco” dove l’organo si sostituisce) sia più andante (“August Holland”, fra le migliori seppur classicissima o “Fener” filastrocca di delicatissima fattura indie-pop).

Un po’ in disparte “As Needed”, strumentale colonna sonora dal sapore retrò che alterna arpeggi folk a sviolinate.

I Beirut si sono chiusi nel salone di una casa vittoriana, la mancanza degli spazi aperti la si sente anche nella varietà della strumentazione, mancano le fisarmoniche vagabonde e latitano le trombe festose ed acidule. La scelta funziona dove si mette a nudo la struttura sonora (citiamo di nuovo “Gibraltar”) esaltandone le componenti, pecca di cromatismo (in negativo) dove l’approccio è quello della classica composizione a firma Beirut, appesantendo quello che resta un ascolto facile.

Una normalizzazione che potrebbe rappresentare una nuova fase e speriamo non nasconda una mancanza d’idee, perchè comunque qui c’è ancora abbastanza roba per rimettersi in marcia e riprendere il viaggio.

V Voti

Voto degli utenti: 6/10 in media su 1 voto.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5

C Commenti

Ci sono 4 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

Giuseppe Ienopoli alle 12:21 del 2 ottobre 2015 ha scritto:

... da Beirut saluto il graditissimo ritorno di Filippo Maradei 2.0 ... devo dire quasi in contemporanea con quello di Zach Condon, mi auguro non con le stesse recenti vicissitudini ... !

“No no no” non è un disco facile da "incasellare", lo sto ascoltando con un interesse interessato e con la massima disponibilità a coglierne tutti gli aspetti di attrazione che da qualche parte Zachary avrà pur sistemato o celato ... quattro anni dovrebbero essere stato un tempo di sufficiente garanzia ... per adesso la ricerca continua, ma la prima impressione è che rispetto al precedente The Rip Tide la forza di impatto sia inferiore e con un R.I.P. molto evidente e più spalmato sulla intera tracklist.

Per dirla in termini calcistici "settembrini" e dintorni, verrebbe da consigliare al Beirut di sfruttare il mercato di gennaio per l'acquisto di un paio di pezzi mirati a dare più spessore e brillantezza in attacco ... pur sapendo che lo schieramento è ormai questo e bisognerà "interisticamente parlando" accontentarsi.

Fossi il mister cederei subito Pacheco ...

... to be continued ...

Jacopo Santoro (ha votato 6 questo disco) alle 16:40 del 9 ottobre 2015 ha scritto:

Aspettare quattro anni, per poi ascoltare questo modesto dischetto. Non metterò mai un'insufficienza a Zach e compagnia, ma è un lavoro povero, e lo dimostra anche il minutaggio scarsissimo (salvo 'At Once', 'So Allowed', ma qui di carne al fuoco non ce n'è).

Sor90, autore, alle 13:11 del 10 ottobre 2015 ha scritto:

Probabilmente le aspettative contribuiscono ad esacerbare (ho aperto il dizionario a caso ) il giudizio negativo, Jacopo, però si, direi che questo è il peggior album dei Beirut. Però non mi puoi bocciare "Gibraltar" e "No no no"!

Giuseppe Ienopoli alle 22:44 del 22 marzo 2018 ha scritto:

L' Indie Folk avrebbe un urgente bisogno di un nuovo disco made in Beirut ... possibilmente in direzione ostinata e contraria rispetto a questo No no no ... magari con una strizzatina d'occhio a qualche tempo fa e che la cartolina arrivi presto!