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R Recensione

7/10

Clogs

The Creatures In The Garden Of Lady Walton

L'origine dei Clogs risale alla fine degli anni 90 quando i quattro membri fondatori, radice quadrata di quella che è diventata una formazione aperta negli anni sdoppiamenti, contaminazioni e collaborazioni, erano studenti musicalmente dotati e iperattivi della Yale School of Music di New York. Un ensemble classico in abiti da hipster, come qualcuno, forse loro stessi, lì definì a suo tempo. Origini che sarebbero rimaste oscure o perlomeno indifferenti al grande pubblico se due di questi quattro membri non fosse inciampati nel successo di un'altra band che ha mosso i primi passi parallelemente e in stretta simbiosi con il gruppo in questione: i National. Si perchè Clogs è un progetto al crocevia fra minimalismo classico e musica popolare che vede protagonisti assoluti il chitarrista Bryce Dessner e il violinista e compositore Padma Newsome, oltre a Rachael Elliot al fagotto e alla melodica e Thomas Kozumplik alle percussioni.

Questo non significa che i Clogs siano un gruppo che vive di luce riflessa. Anzi i meriti compositivi e musicali sono la prima cosa che salta agli occhi quando si ha la fortuna di ascoltare uno dei loro lavori. I Clogs sono un grande laboratorio sonico, una costruzione perimetrale fra popular, indie e classica contemporanea, un collettivo in cui è possibile sviluppare soluzioni strumentali che vadano aldilà dei vincoli imposti dalla forma canzone. Una forma canzone, peraltro, che la band sembra costeggiare a una distanza di sicurezza in questo suo quinto full lenght intitolato The Creatures In The Garden of Lady Walton. Un album in cui, per la prima volta nella storia della band, la voce umana, attraverso il cantato di tre vecchie conoscenze (Shara Worden aka My Brightest Diamond, Matt Berninger dei National e Sufjan Stevens), si riflette sulle mutevoli campiture del paesaggio sonoro.

Dallo specchio di una natura ritratta in chiave pittorica, composta in architetture che simboleggiano la ricerca dell'armonia da parte dell'uomo, di un Eden che esiste soltanto in sogno, negli occhi della mente dormiente, l'opera trae ispirazione fin dal titolo che fa riferimento al giardino privato di La Mortella, nell'isola di Ischia, voluto e costruito da Susan Walton, appunto, moglie del compositore William. Proprio dopo aver esplorato in lungo e in largo segreti del suddetto monumento arboreo pare che a Padma Newsome, qui autore di tutte le musiche, sia venuta l'idea di fondo che ha poi articolato nelle dieci canzoni che compongono The Creatures In The Garden Of Lady Walton.

Dieci canzoni che coprono stili differenti, una flora musicale lussureggiante ma ordinatamente potata dalle mani sapienti del giardiniere/compositore, dalla bizzarra polifonia “a cappella” dell'iniziale Coccodrillo, in cui la Worden e Newsome duettano in falsetto, il neoclassicismo orchestrale riletto in chiave minimalista di I Used To Do, l'esotismo malinconico della prima parte di To Hugo, la tradizione rustico-appalachiana rivisitata un po' alla Penguin Cafè Orchestra (Raise The Flag, Red Seas).

E poi come accennavamo sopra, gli abbozzi di “canzoni” di vere e proprie, basate sulla reiterazione della melodia più che su una progressione degna di questo nome: i melismi madrigaleschi di The Owl Of Love, con la Worden, smagliante, che scolpisce le sue romanze post-moderne anche in On The Edge e Adages Of Cleansing e Berninger, da una soprano a un baritono, che, leggermente assopito, dà fiato all'ultima canzone dell'uomo sulla terra in uno scenario che sembra ormai imperturbabile alla sua presenza (Last Song).

Da ascoltare insieme, ma anche separatamente, al nuovo album dei National.

C Commenti

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target (ha votato 8 questo disco) alle 13:41 del 13 maggio 2010 ha scritto:

Stupenda e 'vivaistica' miscela di classica contemporanea e popular, fonosimbolica e magica, a creare un'oasi di esotica serenità, un hortus conclusus sciolto da ogni contatto con tutto quanto sta al di là del recinto. "Last song" potrebbe stare in un disco dei National quando avranno perso tutte le speranze e si saranno asciugati (via la batteria, via l'elettricità: Berninger-San Francesco). E poi la Worden per me è una dea. Qui è celestiale più che mai. E poi "I used to do", "To Hugo", l'America ritrovata di "Raise the flag"... Disco bellissimo (a cui andrebbe unito l'ep "Veil waltz" uscito in gennaio, altrettanto meritevole), come la recensione.

simone coacci, autore, alle 15:09 del 13 maggio 2010 ha scritto:

RE:

La Worden è effettivamente divina. Sentito che bella in "The Owl Of Love"? Da brividi.

target (ha votato 8 questo disco) alle 15:36 del 13 maggio 2010 ha scritto:

Sì, lì è rinascimento pieno, e fa tremare le ginocchia. Me la vedrei bene in uno split neoclassico (scegli tu di che tipo...) con Joannina. L'ep, invece (me lo sto riascoltando ora), è tutto strumentale, tranne "On the edge" che è anche nel disco. Ancora più malinconico e pensoso, con Dessner vero protagonista.

simone coacci, autore, alle 15:41 del 13 maggio 2010 ha scritto:

RE:

Si, si, io le vedrei benissimo ovunque. Gh,gh...

L'ep sono curioso di sentirlo.

REBBY (ha votato 7 questo disco) alle 18:39 del 5 agosto 2010 ha scritto:

Recensione perfetta che spiega chiaramente chi è

la band e come suona il disco.