Craft Spells
Idle Labor
Il manuale su ‘Come passare in breve tempo dalla propria cameretta alla Captured Tracks’ è molto snello: riassumendo, spiega come sia sufficiente scrivere e pubblicare su un timido myspace (oggi un bandcamp) (bei) pezzi vagamente nostalgici dell’indie-pop ’80, abbondando se possibile in vocals sfocati e chitarre color pastello, per vedersi proiettati in pochi mesi dalla noia della propria scrivania all’eccitazione di un contratto discografico. È quanto è successo, ultimo in ordine di tempo di una folta schiera, a Justin Vallesteros, Stockton, Ca., che ha interamente scritto, suonato e prodotto nella propria stanza questo “Idle Labor”.
Rispetto ai compagni di etichetta Wild Nothing, Minks, Cosmetics e Beach Fossils, Craft Spells potenzia ulteriormente l’elemento New Order (fin dalla copertina, che cita in modo piuttosto sfacciato quella di “Power, Corruption & Lies”), importandone non solo lo slancio ritmico, le spinte elettroniche, la luminescenza melodica delle chitarre e la svagatezza malinconica della voce, ma, più in generale, l’umore assieme euforico e sottilmente amarognolo.
Il sound finale è uno sboccio di primavera clamoroso, tra riff solari e synth balearici (“Scandinavian Crush”), sei corde che sfolgorano un pop surf-euforico (“Party Talk”, “After The Moment”, cioè, per inciso, due chicche pop indelebili) sotto linee vocali killer, Radio Dept. (“From The Morning Heat”) che copulano con Memory Tapes (“Given The Time”), accenni post punk diluiti in un bagno di balsamo e petali di rosa, e sempre, alla fine, inni intimistici al dio dell’ebbrezza meridiana (“Beauty Above All”, “You Should Close The Door”) solo sfumati da dolcissime ipocondrie (“The Fog Rose High”).
Con ricognizioni ritmiche già nineties, più ballabile ed uptempo dei compagni di etichetta citati sopra e di altre band limitrofe pure meritevoli (Seapony, Letting Up Despite Great Faults, The Drums), Craft Spells prosegue alla grande una linea revivalistica che si è ormai fatta genere a sé. Da manuale. Nel senso migliore.
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