Ducktails
St. Catherine
Matt Mondanile continua, parallelamente al lavoro con i Real Estate, a riplasmare il suo progetto Ducktails, sbocciato come momento di sperimentazione free-form e jam di sbrodolamenti hypna (facevano da chioccia, non a caso, etichette come Not Not Fun e Olde English Spelling Bee, il top, allora, nel genere) e poi lentamente indirizzato verso un indie pop dal sapore sonnolento e psichedelico assieme. St. Catherine mette un po insieme le due maniere, con laggiunta di una spolveratura più eterea, favorita dalle frequentazioni diffuse, ultimamente, tra Mondanile e Julia Holter, che collabora qua a un paio di episodi.
La copertina e i titoli, in effetti, rimandano a una coloritura persino spirituale (St. Catherine, Medieval, Church, Heavens Door), e il disco è stato rifinito in fase di produzione da Rob Schnapf, co-produttore dei dischi migliori di Elliott Smith. Aleggia, insomma, un che di classico, come se Mondanile avesse voluto pubblicare il suo disco della maturazione, e una maturazione particolarmente soft e pensosa. Mancano, rispetto a The Flower Lane, i tocchi elettronici più guasconi, anche dove ce li si aspetterebbe (Headbanging in the Mirror è scritta con James Ferraro, il cui tocco però non si nota per nulla: psych-pop Real Estate puro), mentre dominano chitarre più (The Laughing Woman) o meno (Into the Sky) sfiancate, vocalizzi impigriti se non proprio edenici (Reprise o Heavens Room: gorgheggia la Holter), archi e (?) clavicembali (Surreal Exposure), pezzi strumentali che recuperano i primi dischi (The Disney Afternoon, Krumme Lanke).
È un disco di rilassamento slombato e solo un po drogato, St. Catherine, che ha i suoi picchi nel vortice di wah-wah au ralenti che fagocita larpeggio della title-track e nella struttura ritmica e melodica più solida di Medieval. Altrove il rischio è un infiacchimento eccessivo, che a volte va a finire nelle vegetazioni afose e opache dellultimo Washed Out, o nei pezzi un po mancati dellultimo Real Estate.
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