Fear Of Men
Loom
Ancora un po acerbi nella raccolta di singoli spaiati e materiale degli esordi Early Fragments (2013), i tre brightoniani Fear Of Men arrivano al vero debutto con la sicurezza e la statura dei veterani, e propongono uno dei dischi, nel suo genere, più freschi degli ultimi mesi.
Ora di spalla in tour ai The Pains of Being Pure at Heart, i Fear Of Men se ne distaccano per un suono più personale e per una poetica di base più arty e colta, sebbene poi il risultato sia un indie pop di forte impronta chitarristica e di continua ricerca melodica, modello la tradizione jangle pop inglese in tutte le sue sfaccettature, dagli Smiths ai Cranberries, cui rimanda la voce di Jessica Weiss. Non è affatto un disco complesso, Loom, anche se sotto il suo aspetto nasconde più spigolosità e abissi di quanto sembri, e in questo molta parte hanno, oltre alla produzione non troppo patinata (e curata dalla band stessa), i testi detritici e acuti della Weiss.
Che parlano spesso di amore, nelle sue facce di dipendenza ed esaltazione, dolore e speranza, con simboli improntati a una visione mitica e largo riuso di immagini marine. Una specie di epos greco traghettato nelle terre di Ossian, con un surplus dunque di tempesta, qua affidato alla batteria, spesso nervosa, e alle pennate sempre tese della chitarra, mentre nei finali arrivano a tratti tsunami sonori di archi a bassa fedeltà, a ricoprire tutto. Eccellenti, a questo proposito, Waterfall, Tephra e Descent, dove gli intrecci melodici della voce e degli arpeggi si completano perfettamente. Ma restano e incidono anche i pezzi più elegiaci, giocati volentieri su cori e rifrazioni vocali (Vitrine, la perla America).
Ne esce un disco che ha una sua serenità e una sua forza, pur poggiando su basi di dubbio e fragilità, come mostra bene uno dei picchi, Luna («You are unbearable memories when I sleep / Ive tried my best to destroy you but the waves keep overflowing me / washing me out till Im empty») e come rilancia nel glorioso ritornello Descent: «there is a sickness and a health». Il folk in dolce malinconia di Atla, in fondo, dimostra che la band può stare in piedi anche messa a nudo, e non è cosa da poco.
Una delle sorprese dellanno.
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