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R Recensione

8/10

Fear Of Men

Loom

Ancora un po’ acerbi nella raccolta di singoli spaiati e materiale degli esordi “Early Fragments” (2013), i tre brightoniani Fear Of Men arrivano al vero debutto con la sicurezza e la statura dei veterani, e propongono uno dei dischi, nel suo genere, più freschi degli ultimi mesi.

Ora di spalla in tour ai The Pains of Being Pure at Heart, i Fear Of Men se ne distaccano per un suono più personale e per una poetica di base più arty e colta, sebbene poi il risultato sia un indie pop di forte impronta chitarristica e di continua ricerca melodica, modello la tradizione jangle pop inglese in tutte le sue sfaccettature, dagli Smiths ai Cranberries, cui rimanda la voce di Jessica Weiss. Non è affatto un disco complesso, “Loom”, anche se sotto il suo aspetto nasconde più spigolosità e abissi di quanto sembri, e in questo molta parte hanno, oltre alla produzione non troppo patinata (e curata dalla band stessa), i testi detritici e acuti della Weiss.

Che parlano spesso di amore, nelle sue facce di dipendenza ed esaltazione, dolore e speranza, con simboli improntati a una visione mitica e largo riuso di immagini marine. Una specie di epos greco traghettato nelle terre di Ossian, con un surplus dunque di tempesta, qua affidato alla batteria, spesso nervosa, e alle pennate sempre tese della chitarra, mentre nei finali arrivano a tratti tsunami sonori di archi a bassa fedeltà, a ricoprire tutto. Eccellenti, a questo proposito, “Waterfall”, “Tephra” e “Descent”, dove gli intrecci melodici della voce e degli arpeggi si completano perfettamente. Ma restano e incidono anche i pezzi più elegiaci, giocati volentieri su cori e rifrazioni vocali (“Vitrine”, la perla “America”).

Ne esce un disco che ha una sua serenità e una sua forza, pur poggiando su basi di dubbio e fragilità, come mostra bene uno dei picchi, “Luna” («You are unbearable memories when I sleep / I’ve tried my best to destroy you but the waves keep overflowing me / washing me out till I’m empty») e come rilancia nel glorioso ritornello “Descent”: «there is a sickness and a health». Il folk in dolce malinconia di “Atla”, in fondo, dimostra che la band può stare in piedi anche messa a nudo, e non è cosa da poco.

Una delle sorprese dell’anno.

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Voto degli utenti: 6,8/10 in media su 3 voti.
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cnmarcy 6,5/10

C Commenti

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Jacopo Santoro (ha votato 7 questo disco) alle 13:23 del 8 maggio 2014 ha scritto:

Davvero molto Cranberries. Una manciata di pezzi assai orecchiabili (le preferite sono Waterfall, Green Sea, Descent), ma nessun brano mi travolge. Una gradevole sorpresa, comunque.

hiperwlt (ha votato 7 questo disco) alle 10:52 del 11 maggio 2014 ha scritto:

Equilibrio notevole tra trame indie pop, voce Cranberries, ritmiche "National" e (come spiega l'ottimo scritto di Francesco) spigolosità ben celate. E poi c'è un gioiello come "Descent", già tra i pezzi dell'anno per quanto mi riguarda.