Fleet Foxes
Fleet Foxes
Una totale immersione in una genuina sensibilità fuori dallo spazio e dal tempo, ecco cosa si prova ascoltando i Fleet Foxes, gruppo proveniente da Seattle e dedito ad un folk-pop barocco, arioso e classicheggiante…
Che poi ovviamente ci sono i soliti rimandi agli anni ’60, ai Beach Boys, alle ballate bucoliche di certi Crosby, Stills, Nash and Young, come non manca qualche accenno ad un melodismo di stampo Coldplay, o anche, perché no, un’attitudine a creare sonorità diffuse e pregnanti alla Panda Bear (per quanto riguarda le voci, spesso unite in cori amabili), ma il tutto è eseguito con una freschezza a tratti disarmante, capace di regalarci brani in cui la ricerca della purezza raggiunge il suo culmine, dove il barocco non risulta mai sfarzoso, ma dona una eleganza tanto semplice quanto attraente, dove un paganesimo pastorale si intreccia scherzoso ad una religiosità dirompente.
E iniziamo subito ad addentrarci in questa atmosfera onirica con la prima Red Squirrel - Sun Rises, introdotta da un canto folk vecchio stile, cui seguono gli arpeggi incantati di una chitarra, presto cavalcati dalle voci all’unisono dei nostri Fleet Foxes, che inaugurano una litania morbida e vivace, dominata dalle corde delle chitarre e del banjo, perfettamente in grado di rincorrersi, incrociarsi, completarsi a vicenda, il tutto mentre l’enfasi si fa via via maggiore grazie ad un crescendo emozionale, culminante nel morbido assolo elettrico cui viene affidato il compito di preparare l’ingresso dell’ultima strofa del pezzo.
La successiva White Winter Hymnal è già storia: un inno irresistibilmente affascinante e incredibilmente permeante dove le voci, le chitarre acustiche ed elettriche ed i ritmi minimali riescono a fondersi per un dolce vortice di melodie morbide ed attraenti, che si spengono con la stessa delicatezza di come sono iniziate per lasciare spazio alla vivacissima Ragged Wood. Un indie-pop dei più genuini ci cattura nella sua aura di solare purezza, rendendoci partecipi di un flusso spensierato di note, dove la varietà, rappresentata qui dallo splendido cambio di ritmo di metà pezzo, è un punto di forza capace di dipingere le più svariate emozioni in un solo brano. Seguono così uno dopo l’altro una serie di pezzi indimenticabili, tra cui la malinconica e sognante Tiger Mountain Peasant Song, la solare, e a tratti psichedelica, coralità stracolma di riverberi di Quiet Houses, l’imponente ballata pop He Doesn't Know Why (da pelle d’oca) con quella sua batteria che si inserisce all’improvviso per sorreggere con tutta la sua solidità il solito insieme di arpeggi luccicanti e coretti ariosi, cui segue un evocativo brano strumentale.
Le ultime tra ballate completano un album entusiasmante che, assieme al precedente Sun Giant Ep (dove spicca la bellissima Mykonos) farà sicuramente parlare di sé.
Tweet