Guillemots
Red
L’enorme gomitolo rosso che campeggia sulla copertina di questo Red ben rappresenta, magari non nell’intenzione degli autori, ma sicuramente per noi, la matassa da sbrogliare per venire a capo di questo disco. A meno di due anni di distanza dall’eccellente esordio di Through the Windowpane, per i Guillemots è già l’ora del primo giro di boa e come sempre in questi casi, per gli artisti su cui sono piovuti elogi e successo al debutto, l’imperativo è continuare a stupire, per non finire inghiottiti nell’anonimo mare magnum di quelli che non hanno saputo ripetersi.
Fyfe Dangerfield e la sua band avrebbero tutte le carte in regola per riuscirci. Il talento non manca, le idee neppure e lo stile è quanto di più eclettico si possa immaginare. L’unico rischio che si corre in questi casi è quello di voler strafare e finire col perdere la bussola. Che, purtroppo, sembra essere esattamente ciò che è accaduto con questo loro nuovo lavoro.
Anche se è sempre difficile tirare la linea di demarcazione che divide un album geniale da uno genialoide, è facile intuire che alla fin fine, mentre il primo aggrada, il secondo irrita. Ebbene, Red è un album che si rende più volte irritante; nella sfrontatezza della suo approccio, che pretende di spaziare a destra e a manca per il solo gusto di farlo e che annega le buone idee, che pure ci sono, in una bulimia musicale piuttosto patologica.
Le sonorità glam rock e le influenze disco-pop sono, in questo album, le nuove infatuazioni della band londinese, che si lascia andare in modo piuttosto sbracato a certe atmosfere eighties da classifica radiofonica , per cui i più stentano a provare nostalgia. Ed anche il tentativo di aggiungerci del proprio, con qualche furbizia elettronica di nuova generazione e poco altro, risulta alla lunga piuttosto stucchevole.
Il singolone Get Over It è un po’ lo specchio di tutto questo, col suo ritmo volutamente incalzante, il coretto in background vocals e la sua base irrimediabilmente eurodisco (sigh) che avrebbe fatto felici gli Abba, ma che oggi sembra solo un tentativo di plagio degli Scissor Sisters.
Last Kiss, altro probabile singolo, si muove sulla medesima scia, senza riuscire a scaldare i cuori, anche se poi l’approccio elettro-pop non è proprio tutto da buttare e con Clarion trova un momento quantomeno piacevole, tra i giochi del sintetizzatore che si diverte a scimmiottare un sitar.
Eppure la partenza del disco è di quelle che farebbe presagire le cose migliori: Kriss Kross ha atmosfere apocalittiche sottolineate da una angosciante base di archi che si sciolgono in uno di quei refrain in cui la voce di Dangerfield si esibisce in tutto il suo istrionismo. Ma, spiace dirlo,alla fine della giostra i peccati prevalgono sulle virtù e non esiste giustificazione per l’R&B senza arte ne parte di Big Dog, una roba che poteva farla il signor Timberlake e gli sarebbe pure venuta meglio o per il falsetto di Standing on the Last Star, francamente imbarazzante.
Un paio di buone ballate acustiche (discreta Falling Out of Reach) non salvano la situazione e comunque finiscono per sembrare dei corpi totalmente estranei per un disco che si muove in tutt’altra direzione.
Diciamo che, per quanto ci riguarda, i Guillemots saltano un turno. Hanno giocato a fare le star glamour e un po’ eccentriche. Magari, vai a capire, un parte dei fan potrà anche gradire . Noi un po’ meno.
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