Hospitality
Trouble
"Trouble", sophomore dei newyorkesi Hospitality (Amber Papini, Brian Betancourt e Nathan Michel), tradisce l'agile formula indie pop dell'esordio: al suo interno agisce infatti una nuova estetica, di oscurità mostrate e tormento emerso, a rendere la gestalt del disco assai diversa dal recente passato.
Di quella leggerezza (catchy, twee, dagli arrangiamenti mai banali) del primo disco, in scia Belle and Sebastian e Camera Obscura, si riconoscono sì i segni, non l'attitudine. Il lavoro proietta infatti una solarità decisamente in sottrazione (le pieghe new wave e l'oscurità electro di certi brani, ad esempio "Inauguration" e "Last Words"): laddove la miscela d'indie rock sbarazzino e cifra pop del debutto irradiava ("All Day Today"), quella più attuale viene inondata da continue ombre (l'indie pop notturno e tribalistico, screziato in senso arty, di "Going Out" - brano in cui la Papini mette in mostra più che altri momenti la notevole espressività della sua voce; tra le progressioni "epiche" di synth e i raccordi di chitarra di "Nightingale"), le quali influenzano giri e riff pervasivamente malinconici ("Going Out", "Rockets and Jets"). A scapito di certe dilatazioni e degli umori scostanti, permane come punto di forza condiviso con l'esordio la capacità di compattarsi (nello strutturarsi punk-indie pop della brillante "I Miss Your Bones", Pixies + blocchi post punk normalizzati) in funzione pop; sorprende, invero, come le ballate di oggi ("Call Me After", "Sullivan") rispetto a quelle di ieri perdano in cromaticità, riducendosi all'osso - eccezion fatta per il folk pop uptempo e agreste di "It's Not Serious", uno dei momenti più alti del disco.
Se "Hospitality" reggeva nella sua interezza e contemporaneamente vantava due-tre meraviglie ("Sleepover", "Betty Wag", "Eighth Avenue") a perturbarne la convincente linearità, "Trouble" si differenzia per una versatilità decisamente più eterogenea: in questo senso, tra le cose migliori dell'album spiccano le novità apportate da certi innesti stilistici (il meraviglioso intro di keyboard cromatica a stagliarsi su scenari new wave/jingle jangle di Rocket and Jets; lo scavo di beat 80s in senso pop di Last Words; la già citata "Going Out"). Un completo colpo a vuoto c'è rispetto ad "Hospitality", ossia "Sunship" (il fallimento evocativo, fiabesco e lezioso, nel duetto di corni e chitarra ritmica), ma appare un cedimento da poco vista la qualità generale del lavoro.
La fase moratoria degli Hospitality li allontana dalla freschezza dell'esordio: con più tormento e meno leggerezza il loro indie pop continua ad essere tra le cose più interessanti della scena newyorkese di questa prima parte di decennio.
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