R Recensione

7/10

Lord Cut-Glass

Lord Cut-Glass

La gloria postuma è, poche storie, un’atroce beffa, tanto più se la si può respirare da vivi. Che non è, si intende, un paradosso. Basta chiedere agli ex The Delgados che, dopo lo scioglimento avvenuto nel 2004 proprio in seguito alla frustrazione alimentata dallo scarso riconoscimento commerciale delle proprie fatiche, si sono visti tributare da più parti lodi sperticate: per il guitar pop, dopo i Belle And Sebastian, in Scozia (e non solo) ci stanno loro. Grotteschi, ironici, orchestrali, negli ultimi scampoli di “Hate” sardonicamente barocchi. Ma ormai postumi.

Cinque anni ci sono voluti all’ex leader Alun Woodward perché, rimessi i cocci in ordine, potesse tornare sulle scene, sotto le vesti di un moniker tratto da Dylan Thomas e dietro il paravento di una copertina bellica assai retrò. Perché, se è vero che eco di galoppi ippici, trombe di guerra e una canzonatoria austerità vittoriana dilagano in questo gustosissimo disco, facendone qualcosa di marzialmente diverso dalle vecchie delizie da camera, è vero anche che i Delgados qui tornano ancora, quantomeno nell’attitudine pop e nella presenza di Paul Savage alla batteria.

Il risultato è a dir poco delizioso: il teatralismo melodico dei Beautiful South, il decadentismo dei Divine Comedy, il tocco leggero dei conterranei maestri dell’indie pop citati sopra, mescolati e arrangiati con forti interventi orchestrali, fanno di questo disco una parata carnevalesca vista da una cabina telefonica inglese (dall’altra parte del filo, Bacharach). Lo spirito beffardo che Woodward ha sempre instillato nei testi convive con una posa britannicamente blasé (“Im A Great Example To The Dog”) e con un filastroccante ciondolio da pub (“Big Time Teddy”), per un esito che rispecchia lo spirito d’Albione a 360 gradi, culturalmente e musicalmente.

La straordinaria spinta sinfonica che Woodward ha voluto affibbiare alle canzoni ravviva la rappresentazione in modo quasi cinematografico, e non è un caso se viene in mente Morricone ascoltando la scalpitante marcia para-western di “You Know”, e non è neppure un caso se i The Last Shadow Puppets così visivi e operistici dell’anno scorso ruberebbero senza esitazioni un brano eccellente come “Monster Face”, slombata ninna-nanna noir con ottoni melodrammatici per uno spy-movie semiserio. Tra le canzoni dell’anno.

Il piano cabarettistico e i cambi di ritmo di “Even Jesus Couldn’t Love You” è da sigla di apertura di uno show satirico, le briglie sciolte in chiave folk pop di “Look After Your Wife” esaltano nella cadenza a crescere, e una ballata sciocca con trombone come “Holy Fuck” la vorrebbe persino Jarvis Cocker. Riuniti in un gran carrozzone con la Union Jack sventolata in testa, Woodward e le altre sagome UK, sotto la colonna sonora della conclusiva “Toot Toot”, tra archi, clarinetto, fisarmonica e trombone, potrebbero salire in un double-decker che visita Vienna. Al ritorno, in Scozia, si verserebbe qualche lacrima sulla tomba-che-non-c’è dei Delgados, ma neppure troppe. Perché la gloria, adesso, è qui e ora.

LINK

Myspace: www.myspace.com/lordcutglass

VIDEO

"Look After Your Wife": www.youtube.com/watch

V Voti

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