Magnetic Fields
Distortion
Ce ne sarebbero di cose da dire sull’uso della distorsione in musica… Si partirebbe dal muro sonoro di Phil Spector, per passare ai Velvet Underground di Sister Ray, giungendo alla devastazione sonora e concettuale di Metal Machine Music per arrivare allo shoegaze caotico dei Jesus and Mary Chain (molto di moda in questo periodo).
Ma se dovessimo ascoltare un cd dei Magnetic Fields di Stephen Merritt, quelli di The Charm Of The Higway Strip e 69 Love Songs, chiamato Distortion, il cui tema portante è proprio l’uso pregnante della distorsione, a cosa lo accosteremmo?
Una cosa è certa: non lo accosteremmo né a Phil Spector, né a Lou Reed né allo shoegaze, perché Merritt e soci sembrano proprio voler fare un uso diverso della distorsione e del feedback in questo nuovo lavoro.
Non un’onda sonora che sovrasti tutto il resto, niente che inghiottisca ogni altro elemento con la sua violenza caotica, niente di rumoroso, nel senso proprio del termine.
Si tratta più di un ornamento, di una serie di scricchiolii, di effetti, di atmosfere instabili con lo scopo di fondare un nuovo approccio alla melodia pop: in alcuni casi si potrebbe anche parlare di bubble-gum con le spine, o di pop affilato come lame da rasoio…
Ma iniziamo a capire il perché di tutte queste mie congetture.
Si parte dunque con la strumentale Three-Way, dall’andamento spensierato tipico di un certo pop-rock, con tanto di accordi di piano saltellanti e assoli energici di chitarra elettrica.
Ma non è tutto qui: subito si nota un fruscio in sottofondo che si fa via via più evidente, per crescere e accompagnare il brano in tutta la sua durata. Si tratta del cigolio delle chitarre distorte, convogliate in nugoli di feedback a seguire, e a rendere affilato e spinoso, un pezzo che altrimenti sarebbe stato un innocuo e piacevole motivetto scanzonato.
Bisogna tuttavia notare che il feedback non è mai in primo piano, non sovrasta mai la melodia: la completa e arricchisce invece che annichilirla.
L’esempio più lampante di questo potenziamento del pop sembra proprio essere la seguente California Girls, pezzo dai toni quasi natalizi, evidentemente derivato dalle canzonette dei Beach Boys e riproposto dai Magnetic Fields in versione noise. Perché è la solita storia: ogni elemento melodico viene denaturato attraverso la distorsione, dalla batteria al piano fino alle chitarre.
Le stesse atmosfere si trovano in pezzi come Please Stop Dancing, Drive On Driver, Too Drunk To Dream, tutte avvolte dalle nubi elettriche scricchiolanti e turbolente che creano un atmosfera decisamente corrosiva.
Ma pur sempre pop, ed è questo il colpo di genio.
Il vocione classico di Merritt e le sue canzoni malinconiche, si fanno sentire in Old Fools, Mr Mistletoe, I’ll Dream Alone e Zombie Boy, dove accanto al songwriting tipico della band si accostano una serie di riverberi e feedback che qui in particolare contribuiscono a creare una particolare atmosfera capace, proprio grazie all’intervento stravolgente sugli strumenti, di essere estremamente evocativa e poetica.
Si supera dunque anche la funzione psichedelica e stordente della distorsione, quasi come se questa fosse finalmente diventata matura dopo molti anni di incoscienza e impulsività, e riuscisse ora a riscoprirsi in senso estetico, riuscisse a valorizzarsi semplicemente come uno “strumento” tra i tanti, con le sue peculiarità e potenzialità.
Si tratta di una nuova interpretazione del pop, e la cosa risulta essere davvero meritevole, anche perché condotta da un gruppo storico come i Magnetic Fields.
E questo Distortion è l’ennesimo lustro alla loro carriera.
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