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R Recensione

5,5/10

Memoryhouse

The Slideshow Effect

The Years”, tra le sponde di scintillii minimal shoegaze e di un dream pop da tepore mattutino, candido, usciva per Arcade Sound a metà 2010 – e nuovamente registrato via Sub Pop a settembre dello scorso anno.

Era un breve Ep, venti minuti scarsi levitando: synth cristallini e chitarre effettate in lontananza, abbagli glo e occhi umidicci in riverberi crepuscolari, piano come nenia sensibile (gli studi neoclassici Evan Abeele), sottili beat sintetici in fasci, lineari nel percorrere le vie paradisiache di un pop da cuori nostalgici, elegiaco, giallo cromo; una voce (quella di Denise Nouvion) impostata su registri twee, in camerette con pareti imbrattate di languori e tenerezza.

E alcune tracce, brividi perforanti (prendiamo “Sleep Patterns”, “Lately”, "To the Lighthouse"; ma anche l’Ep in blocco, e chiudiamola).

Aspettative molte - chiacchiericcio 2.0, scritti propulsivi in stile ‘Pitchfork ne spara un’altra’, validità ‘non sia mai’ oggettiva del progetto - allora, ad accompagnare l’uscita imminente del primo Lp dei canadesi Memoryhouse (nome preso in prestito dal disco omonimo del compositore Mark Richter), “The Slideshow Effect” - sempre per S.P.

E si nota, pare subito chiaro l’intento estetico del duo: sgrezzare il sound, in una certa misura, da impurità shoegaze e dreamy in eccesso e sovraesposte, declinandolo in vesti più smaccatamente (indie)pop (sulla sica dei vari Belle and Sebastian, Camera Obscura, la new entry Hospitality) e in una produzione più robusta e rifinita. “All Our Wonder”, lapalissiana in questo senso: ugola madida di malinconie sbiadite (<No More Silence for Me>), nello spazio (i trenta secondi o giù di lì dell’intro) di un rapido saliscendi su incastro dispari delle pelli, che sfocia fresco su un basso in rilievo, e quasi tangibile (Fleetwood Mac); o “The Kids Were Wrong”, in cui primeggia l’ossatura compatta del giro melodico trainante.

Il limite, evidente in queste due composizioni è un certo ammanco nella maniera in cui viene lasciata, sovente, ampiezza alle soluzioni nelle strofe (es. l’ultimo Dum Dum Girls).

Questione stilistica o meno, meglio quando si torna col lumino a rivisitare una certa cedevolezza eterea insita: il passaggio di consegne dall’Ep in “Heirloom”, con quelle chitarre effettate su toni acuti più beat sostenuti, pastosità twee e giro realestatiano a far da ponte; nella cangiante “Little Expressionless Animals”, che è archi da tempesta alle spalle su ritmica sabbiosa&cardiaca, coro introduttivo a cappella come verso alle dame della contea di Longstreth, e poi refrain liberatorio (<I’Won’t Follow You Back Home>).

Arrangiamento guidato dal piano e chitarra, rapidi rintocchi di charleston sul cullare melodico degli archi: questa è “Pale Blue”, che è sound trasparente e lievemente beachousiano, ibrido tutto sommato riuscito tra vecchio e ‘nuovo’. Buone le chitarre indie-rock canadese (pre ‘10s), con l’organetto brumoso in “Walk With Me”; calda la slide-guitar in odore di (ultimi) Girls in “Bonfire”(che pecca, però, di troppe sospensioni a vuoto), e lieve la frescura acustica di “Punctum”. Incorporeità e inconsistenza nel finale, cristallino, sui rintocchi planati di “Kinds of Light”; più fisicità, e ancor meno qualità, sullo scorrere della conclusiva “Old Haunts”.

Riassumendo: nessun brano indimenticabile, una manciata sopra le righe, ma a spasso in un album non sempre perfettamente coeso.

Non c’è disappunto, così, ma sì rammarico per un progetto dalle già buone prospettive, che qui aveva l’opportunità di evolvere in meglio il proprio sound; non lo fa, in onestà, sollecitando nell’ascoltatore solo dei bei scorci trasognati, da dettaglio, ma spesso non perfettamente assemblati in totale veduta estesa.

Album, "The Slideshow Effect", appagante solo a metà (o poco meno); va da sé.

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Voto degli utenti: 6,3/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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crisas (ha votato 7 questo disco) alle 12:28 del 24 febbraio 2012 ha scritto:

La casa dei ricordi.

Meno particolare dei precedenti album ma sa comunque regalare alla grande quella tipica cullante atmosfera malinconica che al sottoscritto piace. Piacevole e per certi aspetti più maturo e luminoso. Si, lo consiglio.

salvatore (ha votato 6 questo disco) alle 21:14 del 2 marzo 2012 ha scritto:

Completamente d'accordo con la bella recensione di Mauro! Tutto è ben fatto (All our wonders è l'apice, alle mie orecchie), ma, finito l'ascolto, rimane pochino. Ecco, credo che il problema principale sia la mancanza di personalità. L'idea di fondere Beach House e Camera Obscura non era male, ma occorreva metterci anche qualcosa di proprio...

Resta l'amaro per un'occasione sprecata...

Ascolto più che piacevole, ad ogni modo. Rimandati alla prossima prova!