MGMT
Congratulations
Dove vogliono andare a parare gli MGMT??
Diciamolo chiaramente, questi due pseudo-freak bellocci e dalle facce pulite vengono portati sul palmo della mano dai critici più o meno illustri del settore, nonostante non abbiano inventato nulla per cui farsela sotto per l’emozione e lo stupore, spacciando la propria miscela musicale come una ventata d’aria fresca all’interno di un panorama piatto; ma sotto la bella busta patinata di colori cangianti si nasconde un minestrone freddo e rancido del giorno prima (un nome a caso: Flaming Lips che hanno suggellato il loro capolavoro più o meno un anno fa).
Aldilà quindi della vena prettamente psichedelica del gruppo, la peculiarità di Oracular Spectacular (loro disco d’esordio) era tutta racchiusa nei suoi ritornelli orecchiabili che rasentavano la giocosità e la spensieratezza infantile, e dalle atmosfere danzereccie electropop strabordanti di synth gommosi, qui completamente accantonate per lasciare spazio completo alla loro verve pop-psichedelica.
Per Congratulations dunque Ben Goldwasser e Andrew Van Wyngarden lasciano in standby i propri laptop e inseriscono i jack negli amplificatori, lasciando un vuoto evidente nelle loro composizioni.
Denudati della crosta di synth, gli scheletri escono a galla.
Laddove la title-track è una ballata annegata in una atmosfera eterea di pianoforti e I Found A Whistle splende di un organo dalla vena malinconica, esplodendo in un climax corale da coro gospel sotto acido, It’s Working difetta nella sua eccessiva atmosfera barocca di clavicembalo e percussioni. Il parto di Syd Barrett in orbita sullo space-shuttle in rotta suicida verso il sole.
Tributo all’anti-eroe indie punk Dan Tracey (leader della seminale band dei Television Personalities) nella canzone titolata Song For Dan Tracey (la fantasia al potere!!), che affonda nella solita atmosfera sci-fi da b-movie fantascientifico fra vocine in falsetto, inserti d’organo e solito e ormai prevedibile crescendo d’intensità nel finale fra beat rubati alle pistolette da guerre stellari che spopolano fra le bancarelle per bambini da festa patronale.
Flash Delirium è l’unico bagliore di una vena compositiva ritrovata ed articolata su di un pop psichedelico a tinte cangianti di ottima fattura, costruito su intrecci di synth decadenti e batteria sostenuta che accelera vorticosamente nel finale. Scivolando fra leggeri fraseggi di chitarra e basso funk che irrompe prepotente al minuto e 45 in un giro melodico asilo-funk da antologia, e pennellato da una leggera melodia di flauto. James Brown seduti al tavolo con i Jethro Tull per una cena a base di funghi accuratamente selezionati da Syd Barrett. Roba da sogni proibiti di feticisti musicali.
Da qui in poi uno spettro di triste mediocrità aleggia in tutto il resto dell’album, come nella prolissa e pedante Siberian Breaks che suona come una qualunque canzone pescata dal mazzo dei Byrds messa in loop per 12 minuti, o il tributo al Re Mida del Rock Brian Eno (si son proprio spremuti le meningi) col suo tiro space-punk sostenuto, ipotetica e goffa colonna sonora di un film sci-fi di serie B.
A serrare inesorabilmente l’unica via d’uscita dal baratro dell’anonimato ci pensa sapientemente la strumentale Lady Dada’s Nightmare che non sfigurerebbe in un remake di Dracula con Pippo Franco nel ruolo di protagonista, che si trastulla a girovagare per le strade buie succhiando sangue col naso dalle giovani vergini anziché coi canini affilati.
Agghiacciante.
Gli MGMT sono andati a parare dal lato sbagliato, ammorbidendo e smussando gli spigoli della psichedelia più acida con gommini pop fluorescenti. Caduto il velo di Maya, la pecca si mostra al pubblico in tutta la sua bellezza effimera fino ad ora celata sotto un mare di sintetizzatori e melodie da dancefloor.
Mossa sbagliata.
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