Moss
Ornaments
La somma delle parti non esaurisce certo la proposta degli olandesi Moss. Come al solito è l'alchimia personale, il modo in cui si abbinano le componenti per trascenderle ed ampliarle, che definisce la sostanza di questo Ornaments (terzo album di una band misconosciuta al di fuori del paese dei mulini a vento). E allora pur non potendo fare a meno di notare fortissimi influssi tratti dall'indie pop sfavillante dei Phoenix, oppure non accorgersi di una curiosa convergenza con le armonie vocali dei Fleet Foxes, rimane impossibile ignorare quella dimensione ulteriore che costituisce il valore dell'album aumentandone peso e spessore.
Si capisce qualcosa già dalla prima I Am Human: la trama si infittisce pian piano, le armonie vocali si approfondiscono, il suono si fa più denso, fino ad implodere in un'ovatta che è come un fiato sospeso, quando tutto riparte come prima per chiudere il brano. Non è che l'inizio però: la seguente Spelbound, sorta di incrocio tra i Vampire Weekend e gli ultimi Broken Social Scene, conferma l'abilità melodica unendola ad una ritmica sussultante, a stacchi che imprimono variazioni corroborate dalle striature armoniche delle chitarre. Ma ecco che arriva Tiny Love a dare una svolta netta alla solarità scanzonata di poco prima. Una linea densa di synth, una base di drum machine minimale, le vibrazioni che ondeggiano su una canorità espansa ma sommessa, dallo sviluppo verticale, su un tappeto dove sono solo gli eco della chitarra a variare sul tema. Un'istantanea purissima ed evocativa. Non solo: una dichiarazione stilistica che da qui in poi è destinata a dar vita ad una serie di brani ineccepibili.
E allora ecco il punto: la maturazione rispetto agli scorsi lavori è abbagliante. Oltre ad una scrittura più incisiva che mai (grazie a melodie irresistibili) ci sono grandi progressi anche a livello compositivo, evidenti nella padronanza di arrangiamenti essenziali che aboliscono sbavature e ridondanze in un raffinato lavoro di sottrazione. Il suono è dunque pieno ma non sovraccarico, il dosaggio essenziale ma in grado di garantire il massimo della resa grazie ad una cura dei suoni rigorosa, che si avvale di una componente math capace di non prendersi troppo sul serio.
Troviamo tutto questo in Give Love to the Ones You Love, splendida ballata dove appare tutta l'abilità nel creare armonie sottili che si evolvono in un progressivo accumulo, in una costante levigatura cucita dal drumming chirurgico di Finn Kruyning, o in The Hunter, con il suo motorik krauto e il suo basso pulsante, tra handclapping, nebbie sintetiche e irresistibili ganci melodici. Impossibile non citare anche la spigliata What You Want (singolone da ascoltare in loop) o il ritornello perfetto di Good People, un jangle impegnato in un brioso uptempo.
Per concludere si potrebbe dire che i Moss siano una sorta di Maccabees (quelli di Given to the Wild) meno cerebrali (e quindi più scorrevoli, si), una piacevolissima formula art-indie dove la capacità di sfornare canzoni impeccabili è unita ad una cura compositiva non comune. C'è da leccarsi i baffi quindi, sperando di non aver preso un abbaglio e che Ornaments non sia un fuoco di paglia. E anche se fosse, in fondo, nulla sarebbe tolto a questo pregiato insieme di gemme pop.
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