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R Recensione

7/10

Peter Piek

Cut out the dying Stuff

Tutti siamo stati almeno una volta a Barcellona, e molti di noi, viaggiatori squattrinati obbligati a volare con Ryanair, saremo atterrati all’aeroporto di Girona per poi sorbirci un’ora e mezza di pullman fino al capoluogo catalano. Pochissimi, i più curiosi, avranno invece rinnegato Barcellona per godersi la città aeroportuale, oramai considerata un gioiellino della Costa Brava. Girona rappresenta la serendipità del turista, che trova una città preziosa non cercata ed imprevista mentre sta andando a visitarne un’altra. È forse anche per questo che Peter Piek ha dedicato una canzone alla città, mentre a noi ha regalato un disco che rappresenta in toto la serendipità di cui abbiamo parlato poc’anzi: trovare un disco favoloso mentre se ne sta ascoltando un altro.

Oltre che musicista, il trentatreenne Piek è innanzitutto pittore, influenzato dall’impressionismo cubista di Karl Schmidt-Rottluff e dalla fashion art di Ari Fuchs; nonostante ciò, “Cut out the dying stuff” rappresenta il terzo album del nostro, dopo l’esordio di “Say hello to Peter Piek” e il seguito di “I paint it on a wall”. Lo stile, stravagante ed indie a un tempo, si immerge nell’opera di Nick Drake, o in quella dei R.E.M., di Pete Townshend, dei Blur o, più in generale, nel fenomeno del britpop. È questo un disco allegro e coloratissimo come un disegno di Keith Haring, pieno di variazioni cromatiche come un’opera di Ernst Wilhelm Nay, sintetico ed iconico come la Marilyn Monroe di Andy Warhol.

I momenti musicali da citare stanno nella già citata opening di “Girona”, straordinario inno d’amore urbano con Matt Hopper alla chitarra; nella title-track, ritmica e ritmata, con Peter Piek che si fa aiutare dalle backing vocals di Danny Malone; in “Left room”, ballata classica ma amorevole; in “If this is the end”, velocissima ballad indie rock con Leif Ziemann al basso; in “Analyse”, interamente cantata in tedesco, lingua in apparenza poco incline al rock; in “Ti O O”, canzone della tradizione taiwanese che parla di nonni, pesci e litigi (?); in “Green”, performata live assieme a Nanna Schannong; infine in “Alive”, la canzone che più di tutte rappresenta quell’idea di circolarità audiovisiva tanto cara al nostro autore.

“Cut out the dying stuff” è uno di quei dischi che in Europa girano con notevole facilità, in quell’ideale entroterra che va dai Pirenei alla Repubblica Ceca. Questo disco ha bisogno di locali piccoli e compatti, frequentati da aficionados, gustando magari una birra media mentre Peter Piek, con la voce androgina e una band di tutto rispetto, esegue dal vivo l’intera tracklist del disco. Sarebbe davvero una serata perfetta. Sarebbe…

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