Shout Out Louds
Optica
Ogni tanto capita il disco pop senza buone melodie. E si cestina. Che altro sennò?
Gli svedesi Shout Out Louds nei loro primi due dischi sfoggiavano una scrittura da incanto. Pezzi come Please Please Please o "Impossible" stanno lì a dimostrarlo. Se il successivo Work già tendeva a geometrizzare la vivace sgangheratezza indie pop degli esordi e a metterle briglie troppo strette, questo Optica, che esce dopo tre anni di silenzio, prosegue sulla via della ripulitura. Gli influssi folkish anni zero sono cancellati. I suoni sono patinati. Gli strumenti a bada. Gli archi smorzano. Adam Olenius canta con lattenzione di stare sempre dentro i bordi. La produzione, a cura della band stessa, lucida e toglie ogni alone.
Peccato che, così facendo, metta in evidenza melodie sottotono e strutture statiche alleccesso: il sophisti-pop a cui resta solo leleganza e la grazia delle forme. Vedi Burn, vedi Blue Ice, vedi Walking In Your Footsteps. Innocue, più che brutte. Non succede niente, se non la distinzione pop-wave degli arrangiamenti e la cura degli incroci tra strumenti e inserti elettronici, sempre più invasivi. La successione dei dodici pezzi fatica a trovare momenti che scuotano. Anzi, si affonda in pipponi strumentali senza senso (Glasgow), riavendosi solo quando torna leco di World dei New Order (nella buona Hermila) o dei Pet Shop Boys ("Destroy"), o quando si ritrova la vena carnevalesca di Howl Howl Gaff Gaff (14th of July).
Ottici, dunque, i nuovi Shout Out Louds. Ma la luce e la focalizzazione non a tutti fanno bene. E cè da temere, a questo punto, che il nuovo paradigma pop anni '10 non giovi a una band che meglio avrebbe fatto a rimanere, peterpanicamente, nella disordinata fanfara del decennio scorso.
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