Sodastream
Reservations
Alla fine eccoci qua. Non che avessero fatto fuochi d’artificio nella scena indie, altrimenti non sarebbero scesi dal palco proprio dopo dieci onorati anni. E così i misconosciuti Sodastream si sciolgono. Il duo australiano formato da Karl Smith e Pete Cohen, appende chitarra e contrabbasso al chiodo al loro quarto album, uscito sull'etichetta australiana Trifekta nel 2006, poi pubblicato anche in Italia dalla sempre attenta Homesleep.
Non che Reservations fosse l’album di commiato perfetto anzi, dalla pura melodia, di soli contrabbassi e chitarre acustiche, a volte folkeggianti, spesso emergono suoni stucchevoli, ripetitivi cui si alternano momenti malinconici e solari. Come la morbida “Warm July” e “Twin Lakes“, controparte perfetta di un album complessivamente noioso e da chiostro. Lo chiamano chamber-pop e il suo grosso limite è proprio la “riservatezza” del suono.
Preferiamo ricordare i Sodastream per l’ indimenticabile e struggente Heaven on the ground, o per Lushington Hall, (The hill for company ,2001), la brumosa Constantsheep, oppure le timide e raggianti Otherwise Open e Blinky, queste ultime due dal loro disco più vario intitolato “A Minor Revival”.
La title track Reservations è eccezionale sotto ogni punto di vista e riporta alla mente i Belle and Sebastian di Tigermilk, o gli (ex) Arab Strap di Malcolm Middleton anch’essi sfasciatisi dopo dieci anni poiché avevano grattato il fondo del barile e non avevano da dire nulla. Perle di modernariato che se ne vanno. O deja vu?
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