R Recensione

7/10

Sondre Lerche

Phantom Punch

Se volete ascoltare un vero swinger, qualcuno in grado di giocare con gli standard del vocal jazz e gli stilemi pop del passato senza sembrare per questo un transfugo della macchina del tempo, lasciate perdere la fuffa, spegnete la radio e scordatevi Michael Bublè e Norah Jones: che si può ancora suonare musica senza tempo, senza per questo essere dei bolsi neo-reazionari. Garantisce Sondre Lerche, crooner delle fredde lande Norvegesi, uno venuto su ascoltando A-ah e Prefab Sprout, e sbocciato artisticamente nel 2002 con il magnifico Faces Down, tra Tin Pan Alley e Mc Cartney, spruzzate di pop anni’60, di bossa e di vaudeville, aromi jazz e melodie che ti si stampano nella mente al primo colpo e non ti lasciano più andare.

E lo ritroviamo qui due dischi dopo, nel 2007, elettrificato, a tratti persino un po’ elettronizzato, ma come sempre in gran spolvero, pronto a snocciolare con nonchalance il suo irresistibile fiuto melodico. Certo, fa un po’ effetto sentirlo flirtare col power pop in The Tape, riecheggiare da lontano Franz Ferdinand e Phoenix nella titletrack, procedere a rotta di collo lungo la spirale sonora di Face The Blood. Ma se la cava bene, il ragazzo, anche quando spinge un po’ sull’acceleratore e gioca a fare la rockstar.

Che tanto quando hai il vizietto per certo pop, dolce e a soluzione istantanea, e hai la classe per non scadere nel ridicolo nemmeno sul falsetto lezioso e sull’anthem facilone di John, Let Me Go, ti si perdona tutto. I pregiudizi da indie rocker navigato si dissolvono come neve al sole di fronte alla rotondità pop di pezzi come Say It All e After All, davanti all’irresistibile immediatezza di She’s Fantastic o alla vena sognante di Happy Birthday Girl.

In questa trafila di pastiche sonori, prigioniero di un moto centrifugo che punta dritto al pop dei ’60, sepolto da occasionali coltri di rumore, strapazzato da fendenti rock, batte un grande cuore da crooner. E prosegue brillantemente la sua strada un ottimo songwriter, che magari non regge al 100% il confronto con le sue sortite precedenti, ma che continua a spiccare per un qualcosa che, in tempi in cui le definizioni erano meno numerose e complicate, avremmo potuto sintetizzare in una sola parola: talento.

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