Still Corners
Strange Pleasures
A due anni dallesordio, quel Creatures of an Hour di scarno dream pop pervaso dark wave (tutto sospiri, beat 80s ed esoterismo gotico; istantanee da gestalt granulosa, alcune melodie incantevoli), la direzione intrapresa dai londinesi Still Corners, col sophomore Strange Pleasures, si concretizza in un pop da impostazione sì dreamy, sospesa, ma settata a più alta risoluzione, stratificata da estetiche dalle sature tinte '80s. Affrancandosi, al contempo (poi non del tutto), da quel filone più trascendentale del dream pop di inizio secondo decennio (Boy Friend, Sleep ∞ Over, Memoryhouse) che li ha visti, in alcuni aspetti, protagonisti.
Nelle rese di ieri e di oggi, gli Still Corners ricordano qualcosa, di minore si è detto, dei Beach House. Prima di tutto, in comune tra loro cè un'etichetta, un brand come Sub Pop; così come lessere coppia, al pari della band di Baltimora. Nei fatti, suggeriscono l'analogia le circolarità strutturali e melodiche, o la pervasività vocale (non per stile canoro di Legrand, non per profondità e robustezza timbrica; sì nelle traiettorie sospiranti) di Tessa Murray. Specie Beginning to Blue, non di meno Future Age (con quel tocco Julia Holter meets Taken By Trees, e le scie glo à la Memory Tapes prima mano), lon the road notturno (acustica ed elettrica, su loop di synth lucente) di The Trip e Fireflies appaiono le più rappresentative, in questo senso.
Funziona anche il riposizionarsi, si diceva, su bordi scenici di certo synth 80s: lo dimostrano le ricorsività so Drive di Berlin Lovers (masterpiece di concretezza estetica, instant classic folgorante: già tra i brani dell'anno), il tocco electro cromatico (Chromatics, appunto) di Midnight Drive e Beatcity (ritmica minima serratissima e incursioni tribali, tonfi e stridii e beep, armonie vocali, robustezza del groove e lo scintillare di synth: equilibrio ottimo; ancora "Kill for Love" nei solchi).
L'insonne avanzare di "I Can't Sleep" e lo splendido tratteggio chitarristico di "All I Know" (Greg Hughes, la mente creativa del duo) portano a compimento una prima parte catartica; l'ambient dream-folk di "Going Back to Strange", così come i vuoti (dissonanti con le stratificazioni del disco) di "We Killed the Moonlight" paiono gli episodi meno allineati col resto del lavoro - non meno che interessanti singolarmente, ad ogni modo.
Sorprende, non poco, che le traiettorie si siano moltiplicate rispetto all'esordio; da oggi, gli Still Corners scelgano, tra le tante, la direzione più concreta. Al momento, non poco, "Strange Pleasures" si mostra come un disco (sì con una coerenza interna ancora da raggiungere, ma) di veri gioielli pop.
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