The Clientele
Minotaur
Arriva puntuale l’Ep di transizione dei Clientele tra un disco e l’altro, e cade tempestivo a inizio settembre. Ed è un’ennesima delizia, da assaporare con i frutti e i sapori che ricoprono le visioni folkish di Alasdair MacLean come un quadro di Arcimboldo. Che, non a caso, era l’artista scelto per la cover art dell’ultimo “Bonfires On The Heath”, da cui molte tracce di questo “Minotaur” sono out-takes. Si respira ancora, dunque, l’aria primo-autunnale un poco snervata di quel disco, anche se sfioriscono le trame oppiacee e psichedeliche che ne caratterizzavano gli episodi migliori.
A tratti, anzi, torna qui la limpidezza tersa di un “God Save The Clientele”, come in “Nothing Here Is What It Seems”, che dalle sessions di quell’album proviene. “Minotaur”, in sostanza, fa il piccolo miracolo di amalgamare le due anime dei Clientele, quella di un solare indie-pop rurale e quella di un brumoso spirito decadente da crepuscolo eterno (“Suburban Light” e “The Violet Hour” come apici). Pulitissima, ad esempio, è la title-track, tra violini e chitarre acustiche, su una voce meno sfocata e lattiginosa del solito. Ed è adorabile il quadretto folk di “Strange Town”, dove abbondano quelle immagini di un geloso intimismo che fin dagli anni ’90 sono la cifra più tipica della scrittura di MacLean («Magnolias blooming, in a strange town [...] nobody’s walking in the streets»).
Ma l’abisso, per i Clientele, fatto di brughiere nebbiose e viali ricoperti di foglie, è sempre dietro l’angolo. Spettacolare l’omaggio a Paul Verlaine nel brano che porta il suo nome, in un ritmo brioso che impregna di gelsomino altre figurazioni di declino imminente («And I see the sunlight dying on the lawn»; «sometimes in a lonely alleyway everything cracks like porcelaine»), tra glockenspiel, cori, e fiati à la Okkervil River. “Jerry”, ancora, unisce elettriche scure ai consueti toni pastello, pennate incrudelite a quello stillicidio puntinato di piano che è altra peculiarità clienteliana, toccando uno degli apici di una band che somiglia sempre più solo a se stessa.
Mentre “No. 33”, breve e torvo interludio di piano, e “The Green Man”, spoken word noisy e malato, aprono visioni sperimentali sui baratri più morbosi, “As The World Rises And Falls”, cover dei The West Coast Pop Art Experimental Band (psichedelia anni ’60: un amore che la band continua a coltivare dai margini dove più si ritrova a suo agio), riconduce in superficie. E chissà se sarà in basso o in alto, nelle primavere gentili o nei tramonti foschi, che ci porterà il nuovo lavoro. Intanto, una cosa è certa: i Clientele sono più in forma che mai.
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