The Dø
A Mouthful
Che il pop abbia obiettivamente dettato legge nellanno appena trascorso è un fatto certo da non sottovalutare, come non bisogna dimenticare la soppesata qualità dell80% di esso: costrutti sempre più ricchi ed elaborati, pur mantenendo lobbligatoria orecchiabilità di fondo, e arrangiamenti davvero colti e ben studiati. E se la ricerca di una conferma del proprio personale approccio stilistico alla forma/canzone è stato il leit motiv ricorrente, alcune rivelazioni passate (Architecture In Helsinki su tutti) hanno cercato di svisare uninsaziabile curiosità componitrice su territori musicali prima alieni al tipico DNA della indie band-tipo.
Ora, un nuovo anno è cominciato, ma la formula pare non cambiare: tanto, valido pop, riletto in tutte le salse possibili, quantità e qualità fuse assieme. E una bella strizzata docchio ai pilastri del passato, colonne portanti del mutevole magma che percorre i gusti artistici di questo simpatico, estroverso duo franco-finlandese (un uomo, Dan Levy, e una donna, Olivia B. Merilahti, per chi fosse interessato). Il loro esordio, A Mouthful, uscito ad anno in corso, è un vero e proprio compendio della musica popolare e delle sue molteplici evoluzioni negli ultimi trentanni.
È bene chiarirlo fin da subito, in modo da evitare sgradite sorprese: non cè uno solo di questi cinquantadue minuti, una sola di queste quindici tracce che vi possa apparire allorecchio come originale o innovativo. Trattasi esclusivamente di puri distillati indie pop che, nel loro incedere, sopraffanno di citazioni e rifacimenti lascoltatore.
Ecco, dunque, che nella divertente opener Playground Hustle, fra coretti e zufolii, si rifà vivo lo spettro di Patrick Wolf e, soprattutto, degli Architecture In Helsinki di In Case We Die: i rituali tribalismi percussionistici (Unissasi Laulelet, che potrebbe ricordare Amadou & Mariam) si alternano con episodi che caricaturano con grazia, allo stesso tempo, il country-folk con il twee stile Cats On Fire (la gradevolissima Tammie, una delle più riuscite). Si va oltre, con i fiati world di Queen Dot Kong, chiaramente costruita su un impianto hip hop che potrebbe appartenere alla migliore M.I.A., e la successiva, breve strumentale Coda, dallo stile più lounge/jazz.
I Dø sfornano innumerevoli, altri omaggi, più o meno riusciti, riuscendo però nellimportante obiettivo di non annoiare e, anzi, di coinvolgere in prima persona, grazie anche a tutta una serie di accorgimenti che estendono ulteriormente il raggio dazione musicofilo dei due: interessante risentire il centrifugato ragga-surf che Levy e la Merilahti adoperano sui Belle & Sebastian (lirresistibile Stay (Just A Little Bit More), la preferita per chi scrive), o un songwriting affidato a solo voce e chitarra o pianoforte (la bella Song For Lovers, la stucchevole e melensa ballata pianistica When Was I Last Home), o ancora lurlata malinconia roots che permea le note di The Bridge Is Broken, dalla matrice assolutamente waitsiana.
Escludendo il singolo On My Shoulders, troppo lungo e scontato nel suo srotolarsi, le tracce migliori vanno ricercate nel sensuale baccanale elettro-delico di Aha (fra Sean Lennon e Joanna Newsom) e, soprattutto, la cadenzata e morbida lentezza di At Last, sporcata appena appena da un arpeggiato di chitarra sul fondo, che ha il suo punto di forza nelle estese ed espressive linee vocali della Merilahti.
Che A Mouthful sia tutto tranne che un album fondamentale, questo mi pare che fosse apparso chiaro: ma, al fin della fiera, importa qualcosa a qualcuno? Un buon modo per iniziare bene il 2008, ed un ottimo esordio per i Dø: a voi la scelta, ora.
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