The Embassy
Sweet Sensation
Terzo disco in dieci anni per questo duo svedese che, come altri musicisti conterranei, tende a centellinarsi piuttosto che a sdarsi. In compenso la sensazione è dolce davvero quando ciò accade. Dolce, e fugace. Sweet Sensation, proseguendo senza scossoni la scia dei lavori precedenti, raccoglie otto pezzi pop cristallini, tra New Order era-Technique o Republic e riprese baleariche (The Tough Alliance), accostamenti ai vicini The Radio Dept. e viaggi nellindie pop di casa scandinava.
Ad ascoltare cose come Roundkick, dunque, si arretra di ventanni buoni, in quei lungomare pop (ricordate World Thats The Price of Love?) che curvavano di linee melodiche easy-listening gli spunti house ibizenchi di fine anni ottanta, mentre la voce nasale di Fredrik Lindson (a metà tra Bernard Sumner e Neil Tennant, tanto per stare nel solco) scolpisce motivetti appiccicosi, tra chitarre acustiche che luccicano, un basso rotondo e tastiere che si insinuano nostalgiche. Related Artist è più New Order dei New Order, con la chitarra ai 237'' che è praticamente la riproduzione di un marchio di fabbrica, roba da copyright, mentre Livin Is Easy si lancia sugli archi seventies e un groove da capogiro.
È un disco di sole, questo, senza dover essere massimalista, ma cercando riflessi ora dance (International) ora schiettamente pop (Everything I Ever Wanted, dove fanno capolino i Saint Etienne), su giochi di melodie che se ne stanno defilate tra loop di chitarre in leggero twang: su Nightshift si gode, e non ballare è impossibile, così come non perdersi nel tripudio psichedelico di synth in chiusura. Persino dove il giochino un poco si ripete, su tonalità più malinconiche e ritmi più bassi, non cè spazio per la noia (I-D).
Ecco, la dote migliore degli Embassy, che di nuovo (occorre dirlo) non fanno proprio niente, è di mettere ogni elemento al posto giusto. Quella che si chiama, in una parola, semplicità. Lanima del pop, dopo tutto.
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