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R Recensione

6/10

The Whitest Boy Alive

Rules

In un periodo in cui continuano a fiorire una miriade di band indie-pop-tronic tutte uguali… vale a dire agili a piroettare tra i solchi senza malizia e artificiosità, dal candore espressivo infantile e schietto, dalle copertine color pastello e tratto fumettistico, diventa impresa ardua stare dietro a tutto. Quindi perché pescare dal mazzo proprio questo lavoro del quartetto The Whitest Boy Alive? Perché è la band guidata da Erlend Oye dei Kings Of Convenience, ed anche perché, diciamolo pure, il loro esordio (Dreams - 2006) è stato un piccolo evento che ha permesso ai ragazzi di spassarsela in un lungo tour sold-out in giro per i piccoli club.

TWBA è il side project voluto e cercato da Mr.Oye come via di fuga dalle autunnali atmosfere del new acoustic movement dei Convenience, via di fuga alla volta di territori faceti e trasognati, piccole storie di tutti i giorni raccontate da arguti novellieri e musicate con l’immediatezza indispensabile per essere ricordate facilmente, qualcosa su cui muovere il sedere, ma anche qualcosa di estremamente intimo e peculiare.

Le undici tracce di Rules si distendono su un campo di battaglia già saccheggiato ampiamente nell’ultimo decennio, soprattutto dai progetti di casa Morr, la coppia di brani in apertura (Keep A Secret e Intentions) riporta alla mente alcune cose di The Go Find e B.Fleischmann, anche se l’accento ritmico di TWBA si mantiene sempre sottilmente funky, in tal senso prova ne sono Courage e Promise Less Or Do More, tracce in cui il bassista Marcin Oz mostra di saper bene dove mettere le mani.

L’album, praticamente, è suonato senza nessun effetto di modifica del segnale sui singoli strumenti: basso e batteria sono la sezione ritmica ridotta all’osso, la chitarra elettrica di Oye è pura e cristallina come acqua che sgorga dalla fonte, la vena elettro è fornita dai synth Rhodes e Crumar (insieme al Farfisa –marchigiano anche lui- fiore all’occhiello della produzione italiana di tastiere e synth di qualche decennio fa), a tal proposito vedasi Timebomb, nella quale offrono la variante necessaria a sorreggere una linea melodica fin troppo monocorde e puerile, mentre in High On The Heels e 1517 oscillano fino quasi a sconfinare in zona di giurisdizione disco-house. Un gradevole dischetto propedeutico.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 4 voti.
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Khaio 8/10
target 6/10
REBBY 6/10
Zorba 8/10

C Commenti

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REBBY (ha votato 6 questo disco) alle 15:54 del 7 aprile 2009 ha scritto:

Paolo nominando The go find mi hai fregato (ahah).

Easy listening da disco club, si riesce a parlare

con la propria compagna e se l'ascolto è distratto

non fa danni (gagliardo il bassista). Per il mostro affamato che ho in auto scelgo 1517. Ma

davvero sconfina quasi in zona disco house? Lo

sapevo SDM mi sta rovinando(hihi).

target (ha votato 6 questo disco) alle 16:14 del 7 aprile 2009 ha scritto:

Sì, grazioso è la parola giusta. Disco-funky più che disco-house, direi. [Ma com'è che il nostro Rebby non mette più i voti ai dischi?]

REBBY (ha votato 6 questo disco) alle 16:19 del 7 aprile 2009 ha scritto:

Troppi permalosi ...

target (ha votato 6 questo disco) alle 16:33 del 7 aprile 2009 ha scritto:

Ma fregatene! Sdm è pluralista (oltreché fika e anti-interista).

fabfabfab alle 16:34 del 7 aprile 2009 ha scritto:

E tu falli incazzare ....

Dr.Paul, autore, alle 20:38 del 7 aprile 2009 ha scritto:

eh vota rebby con me non ti fare problemi...)