V Video

R Recensione

7/10

Tom Odell

Long Way Down

Cosa ne sarà delle nuove generazioni a venire? Quelle che progressivamente stanno deperendo l’elan vital a colpi di televisione commerciale e false realtà artificiali? Si potrebbe parlare della nuova società dell’ Homo informaticus, della sua senziente necessità  di fissare uno schermo su cui indagare le vite degli altri come nell’omonimo film di Henckel von Donnersmarck. Una sorta di Videodrome ai tempi del plasma e di Facebook. Le nuove leve non riusciranno più a risorgere, incuneate come sono tra una violenta crisi economica e di identità, e di conseguenza perderanno di vista il fine ultimo, avvalorando di gran lunga solo il mezzo necessario a raggiungerlo. Basta vedere cosa succede a chi vuole guadagnare nel circo mediatico della seconda arte: non più artisti con un esigenza da comunicare, bensì solo simulacri vuoti resettati in una forma che precede pericolosamente il contenuto.                                                                                                  

Tom Odell in questo discorso fluttua a mezz’aria, riuscendo a mantenere un equilibrio funambolico tra la giusta immagine mediatica e una spiccata sensibilità nei contenuti. D'altronde non deve essere facile per chi è nato nel 1990 riuscire a trasmettere emozioni, sensazioni e tutto un corollario di immagini oniriche usando la sola voce e i contrappunti dolci di un pianoforte. No, proprio non deve esserlo. Soprattutto se hai capelli dorati che scendono lunghi ad adornare un viso efebico che sottende l’immagine androgina della propria mascolinità. Proprio quel “quid” che tanto piace ai produttori di boy band in voga attualmente. Ma Odell, concedetemelo, è un po’ diverso. Sfrutta la sua voce flebile - contrassegnata da un accento smaccatamente british che ricorda un illibato Patrick Wolf – per comunicare la problematica dell’amore, fil de rouge che si dipana lungo tutta la durata di questo Long Way Down. Non l’amore platonico che fa rima con cuore, no, piuttosto la paventata impossibilità di riuscire a trovarne uno duraturo che soddisfi certe aspettative di vita, quello che poi ti consente in futuro di scrivere una zuccherosa The Luckiest come fossi un degno epigono di Ben Folds, artista che sicuramente ha segnato l’infanzia di Odell.

Long Way Down alterna momenti semplici fatti di melodie schiette che propalano maestose armonie nell’aria ( Another Love) che ricongiungono empaticamente Odell al già menzionato Wolf, eguagliandone in alcuni casi certe scelte stilistiche. Poi, in altre circostanze, il tiro si abbassa, passando il testimone a semplici opere pedisseque che pescano a piene mani nel fortunatissimo repertorio fine anni ’90 inizio ’00 della tradizione brit pop Inglese. In questi casi l’ugola di Odell si contrae, diviene nasale citando apertamente Richard Ashcroft e i suoi Verve o, per i più accorti, gli sfortunati Starsailor. Tuttavia è nei momenti più ossessivamente intimi che il nostro riesce ad andare oltre il personale tributo ed assestarsi in un futuribile immaginario cantautorale. Lì dove le sue influenze più marcate – l’Elton John di Yellow Brick Road su tutti – lo elevano e riescono a relegarlo ad una dimensione più matura (Grove old with me, Till i lost) che non disdegna anche incursioni “prosaiche” nel Jeff Buckley  di So real, così acido, sofferto anche se molto meno lisergico. Tom Odell è anche questo, un po’ cantautore, un po’ cantante ma ancora alla disperata e Pirandelliana ricerca di un personaggio ben definito in cui assestarsi. Non ci sarà la profondità di concetto di Antony Hegarty o le paranoie esistenziali di Cat Stevens, ma in Long Way Down si riesce a vivere brevi frammenti  di vita vissuta, come un osmosi, a volte anche con estrema intensità. E non è forse amore questo?

V Voti

Voto degli utenti: 7,6/10 in media su 5 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
nicol@ 10/10
REBBY 5/10

C Commenti

Ci sono 4 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

Gio Crown (ha votato 8 questo disco) alle 14:44 del 10 luglio 2013 ha scritto:

Mi è davvero piaciuto questo ragazzo! Sensibilità e dolcezza di testi e musiche e tuttavia mai zuccheroso o scontato.

A cominciare dal primo brano il cui ritmo incalzante stempera il tema sentimentale (...invecchia con me!) Certamente in cerca di una sua strada, oscilla tra ritmo e melodie dolci (hold e another love) e finora i risultati sono eccellenti. Anche la sua voce passa dai toni teneri e mormorati a potenti sonorità anche all'interno di uno stesso brano (sense e can't pretend).

Tra le fonti di ispirazione suggerirei anche i Coldplay dei bei tempi che furono: a volte la voce sembra quella di Chris Martin (supposed to be). Trovo anche magnifico il modo in cui fa "cantare" il suo pianoforte (sense, can't pretend).

Il disco è tutto bello ma se dovessi scegliere, another love,can't pretend supposed to be.

Giuseppe Ienopoli (ha votato 7,5 questo disco) alle 19:04 del 10 luglio 2013 ha scritto:

... gradevolissimo e rinfrescante! ... suona il piano come fosse una chitarra ritmica! ... another love X me.

Giuseppe Ienopoli (ha votato 7,5 questo disco) alle 22:25 del 11 luglio 2013 ha scritto:

PS. ... a ben risentire il tuttopiùvolte, manca solo una nota ... la semiminima dell'ottimismo (... sicuramente colpa della stronzetta che prima lo annusa e poi gli rovina l'arredamento!) ... se nel prosieguo Odell riuscirà anche a sorridere seppure con moderazione ... gli toccherà il posto d'onore nella mia bacheca a pari merito con i Fanfarlo!!

Simone Giorgio (ha votato 7,5 questo disco) alle 23:04 del 9 gennaio 2014 ha scritto:

Mi sembra un buon cantante britpop che prova a fare gli Arcade Fire, o gli Arcade Fire che si danno al britpop. Piacevole, per il voto ripasserò