Vaselines
Sex With An X
Credevamo che quello dei Vaselines fosse un capitolo chiuso. In bellezza, intendiamoci, con l’uscita del doppio album antologico intitolato Enter The Vaselines, pubblicato da Sub Pop e adeguatamente rimarcato, a suo tempo, su questi stessi monitor. Invece era solo un punto e a capo. L’incipit che rinfresca la memoria al pubblico prima di sfogliare la pagina successiva, l’inchiostro ancora fresco sulla carta ambrata dal tempo. Prova ne sia che oggi, a circa un anno di distanza da quella raccolta/opera omnia, esce il loro secondo album ufficiale, il quarto se consideriamo i due ep d’esordio che diedero vita al culto “carbonaro” del gruppo fra le due sponde anglofone dell’Atlantico.
Un ritorno in perfetto stile-Vaselines, che è sempre stata una band più amata dai critici e dagli addetti ai lavori che dal pubblico di riferimento, per recuperare il tempo perduto nei confronti di nuovi e vecchi appassionati. Con una formazione nuova di pacca - la “coppia più bella di Glasgow” Kelly/McKee, rimpolpata dall’innesto di due Belle And Sebastian, Stevie Jackson alla chitarra e Bobby Kildea al basso, e da Michael McGaughrin alla batteria - e sempre sotto l’egida della Sub Pop (un piccolo segno del destino: l’etichetta che “scoprì” Cobain, che a sua volta “scoprì” i Vaselines, almeno per il pubblico americano).
Sex With An X ci restituisce un gruppo che non si discosta molto dal sound originale - sorta di twee-pop rumoroso e chitarristico con forti contaminazioni indie americane - e ne conferma i pregi naturali: l’esilità scanzonata, l’assenza di pretese intellettuali, la scrittura millimetrica, le melodie spumeggianti, e un certo gusto per la variatio nei generi sfumati e negli arrangiamenti. Certo ne ribadisce anche i difetti, che sono impliciti in quanto detto sopra e che si riassumono in una sola frase: difficilmente qualcuno dei loro dischi o delle loro canzoni si eleveranno mai sopra la media (piuttosto alta) di un prezioso divertissement. Ma a loro, dopotutto, nemmeno importa, loro sono così: si divertono e fanno divertire. E tanto basta. Uomo avvisato…
D’altronde ai Kelly/McKee c’è ben poco da insegnarli quando inalberano quel loro inconfondibile power-(indie)pop in brani come Ruined, quasi una Molly’s Lips del nuovo millennio, Such A Fool o Poison Pen. I nuovi arrivati, specialmente Jackson e Kildea, aggiungono corpo e perizia indiscutibile all’esecuzione, tanto che la band può agilmente saltare di tono e stile come ad esempio nella title-track, che assomiglia ai Belle And Sebastian con qualche leggero strato d’elettrica in più, nella bluesy e americana The Devil’s Inside Me o nella più british I Hate The 80's, in cui ripercorrono il viale delle rimembranze e ricordano ai pischelli facinorosi che gli anni 80 non erano tutti da buttare, o nel rockabilly un po’ stinto di My God Is Bigger Than Your God.
Anche se, tirando le somme, il meglio lo danno in due brani un po’ nostalgici come Turning It On, scotch country dal ritornello sontuoso, che se mai i nostri dovessero cogliere una hit se la meriterebbero per questo pezzo qua, e nei barocchismi vocali e nelle fragranze sixties di White Chapel.
Niente per cui strapparsi i capelli o lanciare mutandine sul palco ma una rentrée più che dignitosa. Chiedi chi erano i Vaselines…
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