Veronica Falls
Waiting For Something To Happen
Quando si è in attesa che accada qualcosa, solitamente accade la cosa più prevedibile. La stessa di sempre. O quanto meno la stessa di prima. Così per i Veronica Falls, quartetto londinese al debutto due anni fa con un gustoso album eponimo, e arrivato al sophomore con le stesse cartucce da sparare. Waiting For Something To Happen replica la formula dellesordio a tal punto che si potrebbe copincollare la recensione di Coacci suggerendo come cambiare i titoli dei pezzi, ma due parole sarà meglio aggiungerle, se non altro per puntualizzare un pregio e un difetto.
Il pregio dei Veronica Falls è che sanno scrivere pezzi dal tiro immediato con una facilità sorprendente. Pezzi apparentemente elementari, costruiti su piccoli giri di elettrica e sugli intrecci vocali tra Roxanne Clifford e i cori maschili, tra umori che alternano spensieratezza indie pop dal sapore scozzese (Teenage) e tocchi decadenti con Morrissey sullo sfondo (Buried Alive), per cui si passeggia tra paesaggi suburbani assolati (Broken Toy) e cimiteri addobbati a teatrino gotico (Shooting Star), fermandosi ammirati dove la melodia fa centro (la title-track e Everybodys Changing sulle altre), con i santini di Vaselines, Shop Assistants, Talulah Gosh e il catalogo Sarah in tasca.
Daltronde sono proprio le melodie a creare minimi dislivelli tra brani che altrimenti arriverebbero alle orecchie uno uguale allaltro. Se già il debutto zoppicava verso la fine per eccesso di omogeneità, qua il difetto risalta ancora di più, anche a causa di una produzione totalmente appiattita e di un impianto ritmico autoreplicantesi allinfinito. Sicché il disco (almeno fino a metà scaletta) si ascolta con piacere, ma con linevitabile impressione che i Veronica Falls dovrebbero affinare larte della variatio.
Waiting for something else to happen.
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