R Recensione

8/10

Everything Everything

Get To Heaven

I'm thinking, what was my password?

As the vultures land” (da Get To Heaven)

La parola d'ordine per accedere al Paradiso, sardonicamente dimenticata sul ciglio del baratro. Le tematiche del terzo, virale capitolo Everything Everything potrebbero inquadrarlo a mò di distopico ballardiano o, volendo strafare, adiacente allo sgommare post-pocalittico del redivivo Mad Max, se non fosse che è il presente (in ipercinetico disfacimento) a paralizzare ogni agire e ad essere contemplato con sarcasmo, non un futuro più o meno lontano. A lungo si è discusso del sottotesto politico che anima “Get To Heaven” (RCA, 2015): lo stesso Jonathan Higgs a NME ha parlato del 2014 come di un “anno terribile”, con specifiche considerazioni riguardo ISIS, Siria, l'aggravarsi della crisi, etc. Non si capisce però dove sarebbe la retorica/il paraculismo, posto che 1) fin da “Man Alive” i testi di Higgs, seppur “sgonfiati” in seriosità grazie a puzzle verbali e lessico immaginifico, si interrogano su temi tutt'altro che di basso profilo, e che quindi “massimalisti” lo sono sempre stati, oserei dire orgogliosamente; e 2) il risultato non è né mera cronaca né lecchinaggio alle penne più “politically-oriented” della stampa musicale anglofona, bensì trasfigurazione, teatralizzazione di un momento storico eletto a ultima dark age. A delinearsi è un paesaggio abitato da creature a proprio agio nell'interagire con la tecnologia ma imprigionate nella loro diffidenza/sensorialità animale (“I can smell your fingerprints all over my computer” da Blast Doors); un nuovo gregge guidato da impulsi primitivi, credenze (il culto del sangue, il sacrificio estremo), che glorifica l'irrazionale come chiave di lettura di un tessuto sociale e politico del quale si rivelano indecifrabili persino i meccanismi più elementari.

Shiftando dall'universale al particolare, siffatta criticità si riflette sul (e muta il) singolo, instillando dubbi circa il valore della sua esperienza. Sono gli EE stessi ad interrogarsi - basta leggere fra le righe - sul significato di quanto raggiunto fino ad oggi (“Did you ever think Everything, Everything would change?” da Regret), sui loro presunti errori, piangendo lacrime di rabbia e infine trovando rifugio in una maxi-coperta di Linus (l'escapismo di Distant Past). Sono loro a mettersi in discussione, argomentando (sul)la propria agonia e quella di un intero sistema, proprio come il vecchio di Get To Heaven che arde tra le fiamme ma ci guarda col sorriso sulle labbra, fischiettando.

Anche musicalmente Get To Heaven (RCA, 2015) ci confonde, optando per una struttura bipartita piuttosto netta: una prima parte più ariosa e melodica, apparentemente “familiare” per chi ha seguito le puntate precedenti; un secondo tempo che rimescola le carte e si contorce, fra gli spasmi di passaggi elettronici convulsi, cortocircuiti “negativi” come la band britannica finora non ne aveva mai concepiti. E, ciliegina sulla torta, pressoché ogni pezzo ha la statura del classico. Di sicuro lo sono i singoli Regret, torpido call and response fra voce solista e coro (qualcuno ha sentito affinità coi Police, altri con la ritmica Motown, e francamente non mi sento di escludere nessuna delle due opzioni) e Distant Past, dove alle tribolate vicissitudini delle strofe s'intersecano, naturalmente in pieno “EE Style”, oasi eurodance. To The Blade introduce il lotto in equilibrio tra solenni argomentazioni progressive-pop e il drammatico infittirsi/irrobustirsi chitarristico della controparte più math, laddove la Title Track non solo si aggiudica la palma d'oro quale brano più orecchiabile, ma stravince su tutta la linea in materia di elaborazioni afro-pop et smilia.

Lo smaliziato produttore Stuart Price (alias Les Rythmes Digitales, già membro degli Zoot Woman) garantisce quella brillantezza del suono perfezionata in almeno due lustri di frequentazioni tanto ai piani alti della dance-pop +/- mainstream (Madonna, Kylie Minogue, Pet Shop Boys, Scissor Sisters) quanto nel sottobosco indie (Killers, Keane), al contempo esaltando le nervature dell'interplay e la perizia dei singoli. Il chitarrista Alex Robertshaw, in particolare, si conferma maestro di lucidità, inventiva e tecnica (quei micro-assoli alla velocità della luce se li può permettere solo lui), mentre Higgs non solo ritrova il bilanciamento tra registro tenorile e falsetto che difettava su “Arc”, ma esalta esponenzialmente la drammaticità dell'esposizione (un brano su tutti: No Reptiles).

The Wheel (Is Turning Now) è la porta di passaggio tra due dimensioni, il punto del disco in cui le cose iniziano a cambiare: a metà canzone un minaccioso beat in crescendo fagocita ogni altro elemento, lasciando soltanto loop di voci a perdersi nella nebbia. Da quel momento è un profluvio di macabri videogiochi (le tastierine a 8-bit nella marziale 500 Fortune, il Timbaland riletto in chiave prog di Blast Doors), canoni “terminali” (No Reptiles, altro brano da tramandare ai posteri), fino ai titoli di coda (il prodigioso incastro basso-batteria di Warm Healer, congedo tra i più desolanti/esaltanti di sempre) che sembrano propagarsi senza sosta, come un morbo.

Gli EE non sono mai sembrati così nervosi, abbattuti, e di certo non hanno mai proposto una musica come quella ascoltata nella seconda tranche dell'album. Il che non equivale a considerare “Get To Heaven” una dipartita dal loro stile: piuttosto la continua, anche dolorosa, revisione/reinvenzione dei tòpoi di un suono tra i più personali uditi nell'ultimo decennio. I quattro insomma continuano per la loro strada, in apparenza inarrestabili, incapaci di normalizzarsi (esordio in settima posizione nella chart britannica, due posizioni in meno rispetto ad “Arc”, e di certo non si preannunciano vendite da capogiro), soprattutto consapevoli di non poter incidere sul loro/nostro tempo, sia come individui sia come gruppo musicale. Un tempo nel quale per il rock, con pochissime eccezioni, pare non esserci più (ahimé) un posto, e dove le più accorte personalità del nuovo mainstream - peraltro amatissime dalla stessa band – sono le uniche a dare una definizione largamente condivisa, nel bene e nel male, di un presente musicale altrimenti parcellizzabile all'infinito. Impossibile non pensare che il sottotesto di “Get To Heaven” non contempli anche questi aspetti. Altrettanto impossibile non considerare l'opera, nonostante tutto e tutti, tra le più scomode e illuminanti fotografie di questo 2015.

V Voti

Voto degli utenti: 7,8/10 in media su 14 voti.
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Cas 8/10
B-B-B 8,5/10
NDP88 6/10
cnmarcy 7,5/10
hiperwlt 7,5/10
zebra 7/10
Lelling 8,5/10
antobomba 6,5/10
lisa 10/10
motek 8,5/10

C Commenti

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B-B-B (ha votato 8,5 questo disco) alle 22:55 del 13 luglio 2015 ha scritto:

Non ho ascoltato il precedente ma... questo mi sta piacendo molto!

Cas (ha votato 8 questo disco) alle 10:31 del 14 luglio 2015 ha scritto:

wow, mi hai convinto: discone un lavoro ricchissimo, denso, stratificato, che recupera l'ambivalenza e la tridimensionalità di Man Alive (mentre Arc, da quanto ricordo, era molto più giocoso, più incentrato sui giochi d'incastro vocali e ritmici). grandissimi.

per quanto riguarda la contestualizzazione dell'opera credo che per incidere sul proprio tempo occorra innanzitutto capirlo, interpretarlo, dargli un suono (per restare in ambito musicale). gli EE fanno questo, decriptando la confusione e l'intensità di quest'epoca con il loro pop camaleontico e post-tutto. e credo che tra qualche tempo sarà impossibile non considerarli fortemente legati a questi anni.

loson, autore, alle 0:24 del 15 luglio 2015 ha scritto:

Sono senza dubbio legati a questi anni, anzi sono una delle espressioni più geniali (perdonami l'abusatissimo aggettivo) e caratteristiche della musica di questo decennio. Personalmente vivrei con ancora meno slancio se non esistessero. Però non credo proprio che stiano "incidendo sul nostro tempo". Non che sia colpa loro: è quello che gli gira attorno - ossia il mondo - che non glielo consente. I Blur o i Nirvana hanno inciso sul loro tempo, allora il rock poteva ancora permetterselo. Oggi è Kanye West a incidere - o ad aver inciso - sul nostro tempo, o Rihanna... Hanno venduto a milionate, hanno settato degli standard, ci sono centinaia di artisti che li prendono a modello o che si confrontano dialetticamente con la loro musica (anche in ambito rock). Per me questo vuol dire incidere sul proprio tempo. Se ciò valesse anche per gli EE avremmo una nuova band schizoide e stratosferica a irrompere in classifica ogni settimana, ma questo non accade. Non sto esprimendo un giudizio di valore, sia chiaro (posto che West lo adoro e Rihanna è la quintessenza dance-pop del nuovo millennio e quindi adoro pure lei).

loson, autore, alle 0:31 del 15 luglio 2015 ha scritto:

Poi, certo, hai ragionissima quando scrivi "gli EE fanno questo, decriptando la confusione e l'intensità di quest'epoca con il loro pop camaleontico e post-tutto", ed io infatti li considero tra i più grandi di ogni epoca, ma la mia considerazione nell'ultimo paragrafo della rece voleva avere carattere più generale.

Cas (ha votato 8 questo disco) alle 10:54 del 15 luglio 2015 ha scritto:

sì sì sul fatto che il "rock" non abbia più alcun ruolo di rilievo nella contemporaneità niente da ridire. dicevo solo che, in fondo, incidere sul mondo significa anche capire come oggi sia impossibile ricoprire il ruolo di band come Nirvana, Sex Pistols, ecceterea... e quindi "limitarsi" a decriptare e decostruire, senza aspettarsi nulla -o quasi nulla- in cambio. detto questo non mi stupirei se molte band mainstream tra qualche anno citassero gli Everything Everyhting (o qualche gruppo del mondo indie) come fonte d'ispirazione (pur non influendo sui suoni). Il rapporto tra indie e mainstream mi sembra molto sfaccettato e ambiguo...

loson, autore, alle 13:45 del 15 luglio 2015 ha scritto:

Anche questo è vero. L'hip-hop ha certamente assimilato trucchi e strutture del pop, e molti produttori hanno cominciato non da oggi a campionare anche band indie per i propri pezzi. Dall'altra parte sono ormai un sacco i gruppi rock che risentono del mutato clima "sonoro" che va per la maggiore e cominciano a farci i conti. Gli stessi EE ammettono che Destiny's Child, Timbaland e in generale l'r&b contemporaneo sono fonti d'ispirazione primari per la loro musica. Sarebbe bello se in futuro gli EE venissero riconosciuti come "ispiratori" di nomi mainstream, ma da bravo pessimista ne dubito fortemente .

FrancescoB (ha votato 7 questo disco) alle 8:55 del 18 luglio 2015 ha scritto:

Oh che bella sorpresa Matteo! Recensione molto interessante - non potevano esserci dubbi, del resto - e disco da recuperare in questo preciso momento.

hiperwlt (ha votato 7,5 questo disco) alle 19:12 del 19 luglio 2015 ha scritto:

Grazie Loson per quest'analisi superba. Mi stai facendo ricredere (relativamente) su un disco che, all'inizio, ho trovato oltremodo forzato rispetto ad "Arc" e soprattutto "Man Alive". Ci sono certi passaggi che ancora non digerisco ("Regret" su tutte), altri che adesso sostengono l'ascolto - vd. "Sun / Spring / Winter / Dread", la seconda parte con l'apice "Warm Healer", e il viatico "The Wheel"). Ci vorrà tempo, la fascinazione per questa band si è un po' persa per strada col tempo; ma Matteo è così straordinario (ed entusiasta) e gli EE così imprevedibili che è facile possa apprezzarlo davvero continuando con gli ascolti

loson, autore, alle 12:05 del 20 luglio 2015 ha scritto:

Grazie a te e a Francesco per l'apprezzamento. E ovviamente sono contento assai se questo scritto ti ha fatto (parzialmente) vedere il disco sotto una nuova luce, Mauro! "Sun / Spring / Winter / Dread" è arrivata a piacermi solo di recente, prima lo giudicavo inferiore alla media generale del disco e infatti manco lo menziono nella rece. A riprova del fatto che con gli EE bisogna essere pazienti e che Get To Heaven, per fortuna, continua a riservare sorprese anche dopo la cinquantina di ascolti (miei, giuro ).

hiperwlt (ha votato 7,5 questo disco) alle 19:46 del 25 luglio 2015 ha scritto:

Ai 50 ascolti ci sono arrivato anch'io, Matteo!

E, ancora una volta, sei riuscito a farmi ricredere - non solo parzialmente, direi. Ecco: se "Arc" tentava di normalizzare l'istrionicità di "Man Alive" via pathos pop (l'estremo è quella "Duet" episodio più basso della loro carriera), qui la spinta la sento maggiormente fisica e soprattutto più lucida - sia in senso rock (specie nella prima parte: vedi la chitarra di "To The Blade", nel brigde davvero Jonny Greenwood altezza "Ok Computer"; oppure la title track, da loop senza fine, con quello stacco pulito di chitarra seguito da sbrodolamenti arty in stile Longstreth), sia nelle aperture più elettroniche della seconda - quanto è bella "No Reptilies"!

Sta crescendo soprattutto la prima parte, che mi sembra possedere delle instant di assoluto valore ("Get To Heaven" su tutte).

Ti voglio bene Los, se fossi rimasto sulle mie posizioni non avrei apprezzato così il disco: per il voto aspetto ancora, magari ci scappa l'8

loson, autore, alle 11:43 del 28 luglio 2015 ha scritto:

Mauro, sei un tesoro... :*

Lepo alle 13:35 del 28 luglio 2015 ha scritto:

Ascoltato e riascoltato più volte, alla fine il mio giudizio su questo disco rimane un po' tiepido: impossibile non riconoscere la modernità e la complessità della proposta, ma fatico a trovare canzoni davvero coinvolgenti, sotto la coltre di espedienti tecnici molto arditi, non a caso la mia canzone preferita è Regret, che va dritta al punto senza perdersi troppo. Mi rendo conto che lo stile degli EE ha da sempre certe coordinate, è solo che stavolta mi ha coinvolto meno... Non escludo comunque di cambiare idea, l'album è comunque ricco di idee interessanti, come esplicitato nella recensione (per me meglio dell'album stesso)

Dr.Paul alle 14:27 del 28 luglio 2015 ha scritto:

il guaio del math-pop è il math! è quello che rovina tutto

Lepo alle 18:15 del 28 luglio 2015 ha scritto:

LOL in molti casi è vero effettivamente, però io ad esempio considero Man Alive un album superbo, nonostante una voce che non mi ha mai fatto impazzire, a livello timbrico soprattutto.

Totalblamblam alle 13:57 del 29 luglio 2015 ha scritto:

ma anche la voce del cantante e il guardaroba live non e' che aiutino molto ...hai visto l'esibizione a Glasto di codesti fenomeni?

4AS alle 16:04 del 18 agosto 2015 ha scritto:

Ogni volta che ascolto un loro disco penso: "Che bomba questo gruppo! Chissà con un altro cantante come sarebbero".

Non me ne vogliate, ma quei falsetti per me sono terrificanti.

REBBY alle 23:12 del 23 ottobre 2015 ha scritto:

Bado alle ciance eheh questo canta sempre meglio (poi se non piace il falsetto come modalità di canto, tra le altre, tra l'altro ghgh, chiaro che ci si ferma lì) e loro sono ormai dei grandi del loro tempo, in ambito rock, e credo ci siano (e saranno) giovani musicisti che possono (potranno) prender spunto da loro, vista la loro innegabile originalità. Non sono necessariamente i musicisti che fanno vendite da capogiro ad influenzare maggiormente le generazioni future di musicisti e forse neppure quelle contemporanee. Il passato è pieno zeppo anche di esempi contrari. Anche quand'ero io ragazzo (anni 70) la maggior parte dei giovani ascoltava disco music ed il mainstream dava poco spazio al rock.

lisa (ha votato 10 questo disco) alle 0:44 del 23 novembre 2016 ha scritto:

mai ascoltato nulla di simile, sono unici sopra tutti i generi, non avrei mai pensato di definire potente un falsetto. questo album sarà ricordato e rivalutato in un secondo momento. operazione coraggiosa, il produttore è riuscito a tirare fuori il meglio da loro. dovrebbero migliorare il loro impatto dal vivo e poi sarebbero perfetti.