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R Recensione

6,5/10

Pinback

Information Retrieved

Intendiamoci: di giant leap for mankind spacciati per presunti tali ne ho piene le tasche. Non ne posso più di tristi ritorni, attese sfarzosamente enfiate e puntualmente disattese, tiki taka sì-ma-no-vediamo-forse. I Pinback erano rimasti lì, bloccati nel loro universo mentale di San Diego, da cinque anni. Tantissimo. Troppo. Considerando come la svolta indie rock di “Autumn Of The Seraphs” avesse tradito le aspettative di chi li vedeva ancora con le radici ben piantate in buie camerette, a giochicchiare con la bassa fedeltà e le beneamate odd signatures, molti avevano gridato al game over, che non era veramente e veramente non poteva essere. Più un pit stop, se vogliamo proseguire nella nostra ricerca dell’anglicismo fashion. Il progetto rimaneva lì: nel loro universo mentale di San Diego. Assopito, certo, ma ben lungi dal morire, dal provare agonia fisiologica. Immarcescibile ed incrollabile. Prova ne sia che, a dispetto di tutte le fughe solistiche ed i ripensamenti paralleli (che in questi anni, quali più quali meno, abbiamo seguito tutti con attenzione), i maestri del math pop cercano ora, con “Information Retrieved”, di sbrinare finalmente il parabrezza del culto personalistico diy.

Musica commerciabile di tale caratura, di tale intelligenza, di tale prominenza è difficile, nonostante tutto, a trovarsi. Definiamo “commerciabile” a bella posta, perché a fatica una radio accetterebbe di passare in heavy rotation un piccolo miracolo come “Glide”, la cui frase melodica d’apertura esprime tutte le sfaccettature di un talento polimorfo quale, nella sostanza, è quello di Rob Crow. Una delizia da mandare in rewind, più e più volte, muniti di un paio di spesse cuffie isolanti. Crow entra da subito, con il tocco leggero e swingato di chi si sta per approcciare ad una bossa e tira fuori dal cilindro, invece, l’America disoccupata di metà anni ’90: gli arpeggi si giustappongono, rapidi, precisi, con effetto armonico mirabile, riempiti nei vuoti essenziali dai fraseggi di Armistead Burwell Smith IV (che di mestiere suona il basso, e non rincorre un tragico Fantozzi per le autostrade, nonostante le apparenze) e misurati su scansioni che sono certamente regolari e quadrate, ma si colorano di accenti e sincopi nuove, quasi come mancasse sempre qualcosa. Là dove c’era un 4/4 ora c’è un tempo dispari, o almeno illusoriamente sembra. La scrittura si incunea in un incrocio vocale che assorbe la malinconia crepuscolare dei Sunny Day Real Estate, e ne restituisce riff pieni, diretti, immediati, scomposti nuovamente in quell’apertura al minimo shift d’umore. Indie pop? Sì. Math rock? Quasi? Pinback sound? Perfettamente.

Information Retrieved” non regalerà più intuizioni strepitose del genere. Un po’ dispiace. Ma la mente della band e, conseguentemente, i suoi obiettivi, sono rivolti ad un dispendioso esercizio di semplificazione della materia: adatta a conservarne i tratti essenziali e, in contemporanea, ad inquadrarne la figura entro nuove cornici. Come i secchioni occhialuti che un giorno vengono a scuola con il ciuffo soggetto alla fisica catramosa del gel, così “Proceed To Memory” ancheggia a guisa di “Fortress”, cori e strofe attorcigliati su di un troncone post-pavementiano, ma con il piglio deciso di una macro autoconsapevolezza. Altri singoli si spingono oltre: “His Phase” è wave flangerata tra elettrico ed acustico, presa per mano da un giro in minore che sa già di classico, mentre “Sherman” si dedica anima e corpo al battito (melodia sincopata, essenziale accompagnamento strumentale, gran bel sentire) e “True North” sembra un lascito dei Death Cab For Cutie per inedite epopee on the road, con tanto di chiosa su archi sintetici. Le radici sono sempre quelle: se il math è niente senza il post rock, il post rock è figlio bastardo ed esistenziale dell’hardcore, lo stesso che anima silenzioso lo spirito addomesticato – ma ancora nervoso, distorto – di “Denslow, You Idiot!” (sfido a disconoscere consapevolmente la cadenza…) e, lateralmente, le oscurità pianistiche di “Drawstring”, su cui si rifrangono arpeggi ambrati, sfrontati palm mute e ascensioni vocali tese come una corda di violino.

Se la conservazione servisse a mantenere immutabile ciò che non può rimanerlo, sarebbe ben accetta. Ma il tempo scorre per tutti: anche per canzoni come “A Request”, anche per i Pinback. Il cui ritorno, certo, potrebbe non materializzarsi in iconografici giant leaps, per molti di noi. Eppure, il solo fatto di esserci, di (r)esistere, si proietta oltre le pareti di quella fragile capanna, oltre quell’orizzonte bluastro. È al nostro io perennemente loner che questo Crow può diventare, ancora una volta, un compianto Armstrong.

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