Crystal Stilts
In Love With Oblivion
Descrivere i Crystal Stilts può diventare un esercizio di collage citazionistico stucchevole, come nelle peggiori tradizioni recensoree (prendi un pizzico di questo, mettici quello, aggiungici ‘staltro, mescola, e otterrai bidin bidon...). La verità è che questi brooklyniani al secondo disco non potrebbero che essere figli del loro tempo. Cioè il nostro. Scazzati come sono. Ciondolanti e un po’ cupi in attesa che qualcosa succeda, e nel frattempo dediti a fare i poppettari impigriti, motteggiando tutta svirgolata e affogata in riverberi la musica delle generazioni precedenti. Per giocarci alla fine del mondo.
Innamorati dell'oblio, sì. Ma ripescando i suoni garage anni ‘60 e cantandoci sopra su toni baritonali strascicati come farebbe un maudit post-punk, con un istinto pop che fa capolino sempre, inesorabile, infilandosi quasi con furtività tra le maglie. Come già nel primo disco, i Crystal Stilts amano vagare tra episodi più psichedelici e drogati (l’ipnotica “Sycamore Tree”, i Joy Division in acido di “Alien Rivers”) e sprazzi melodici iper-catchy, tipo lo ye-ye leggero di “Through the Floor” o l’indie pop in bianco e nero di “Half a Moon”, ubriacato dall’organo in un gran ritornello scuotichiappe. Si raggiunge, in ogni caso, l’oblio di sé, o per eccesso di intontimento nero (“Blood Barons”, “Prometheus At Large”) o di endovena Psychocandy (“Silver Sun”), con allegata euforia noise pop. E si sa essere, così, apocalittici e leggeri assieme, sulla voce perduta di Brad Hargett.
Rispetto all’esordio, i momenti melodicamente killer trovano più spazio, con l’accoppiata “Shake The Shackles” / “Pecarious Stairs” a toccare l’apice del disco, la prima nel suo ritmo trascinante, la seconda nei suoi stonati tremolii di seconda generazione (The Raveonettes, per dire) che sfociano nella delizia del refrain. Se ci si aggiunge, poi, la “Flying Into The Sun” che le precede, ballad romantico-svogliata in cui la voce indolente di Hargett cozza con le chitarre più luminose, ne esce una parte centrale eccellente, in cui si apre e arricchisce lo spettro sonoro di “Alight At Night”.
Per dirla breve: prendi un pizzico di garage rock, mettici un’attitudine post punk, aggiungici l’indie-scoglionamento duemila via The Jesus & Mary Chain, e otterrai i Crystal Stilts.
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