The Raveonettes
Pe'ahi
Nonostante il nome rimandi a unisola hawaiana, cè ben poco di surf rock nellultimo disco (il settimo) dei Raveonettes, eppure qualche novità, nel sound del duo danese, cè, e sembra andare piuttosto in una direzione ruvida e scomposta molto più antimelodica rispetto alle prove più recenti (peraltro assai buone, vd. Observator).
Inteso: le sonorità fuzzose e gli strati di distorsione con cui ricoprire chicche di somma orecchiabilità sono sempre state un marchio di fabbrica di Sune Rose Wagner e Sharin Foo, ma qua i due si spingono un po oltre, quanto meno per luso più aggressivo del drumming (tuttaltro che jesus&marychianamente sommerso) e per una forma canzone più spigolosa e irregolare. Ne esce il disco, tra gli ultimi, più scontroso dei Raveonettes (daltronde la scintilla emotiva pare essere stata la morte improvvisa del padre di Rose Wagner), la qual cosa non sembra, tuttavia, aver giovato molto.
I muri di gain alzati imperiosamente (Sisters, "Kill!") attaccano con una furia che quasi non lascia spazio ad altro, sicché pare che laltro polo del gioco dei Raveonettes, ossia quello pop, quasi sparisca. Ma i danesi ne hanno bisogno per esistere. E difatti le cose migliori del disco emergono proprio dove quellanimo torna a combinarsi con il rumore, in modo glorioso (A Hell Below) o malinconico (The Rains of May), anche quando il ritornello gioca a nascondino (Killer in the Streets). E intanto continua larricchimento della gamma strumentale, con il piano ancora a fare capolino (Endless Sleeper), in continuità col disco precedente, ma allargando anche ad archi, glockenspiel e arpa, sempre senza intaccare l'umore nero e maudit dei testi ("This old wave is gonna drag you down / to the black where you always end up", celebra, alla fine, l'ottima "Summer Ends").
Volendo essere più taglienti (vd. copertina), finire per esserlo di meno. Capita.
Tweet