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R Recensione

7/10

Wallis Bird

Wallis Bird

You don't know shit

and ain't it better not to know it

La leggiadria dell'arpeggio iniziale di Dress My Skin And Become What I'm Supposed To ci viene incontro tradendoci immediatamente, mescolando subito un paio delle antitetiche personalità che l'artista irlandese custodisce in sé: quella della ricamatrice di sospese atmosfere e quella che va dritta al punto, senza girare attorno alle parole. La giovin pulzella è cresciuta e al terzo album in studio sembra aver fatto passi più lunghi di quelli mai compiuti dalle sue gambe in precedenza, mettendo in campo tutte le energie per la rincorsa che precede il balzo in avanti. Così dopo un inizio intimo e dolente, la scintilla brilla nella successiva I Am So Tired Of The Line nella quale la Annie Lennox di tanti anni fa sembra nuovamente artefice di una melodia scoppiettante pronta a stamparsi nel cervello. Non meno accattivante il “singolo perfetto” offerto da Encore in bilico fra le movenze di Alanis Morissette e le nevrosi ritmiche dei Talking Heads. Ma una natura completamente differente (e maggiormente riconducibile all’esperienza di Ani Di Franco), attende dietro l'angolo: quella appartenente a brani come Take Me Home (pulsazioni sottocutanee giocate sul palpito di una inquietudine), In Dictum (mesta ballatona corale dal gusto folk), Ghost Of Memories (scossa da un fremito acustico, ma capace di aprirsi ad un ritornello mozzafiato: uno dei pezzi migliori del lotto), But I'm Still Here (melanconica melodia gonfia di rimpianto), è una dimensione spazio-temporale in bilico fra sussurri e grida, decisamente incline a privatissime rivelazioni e a viscerali introversioni. Dopo tanta esposizione delle proprie anime, in fondo all'album trova posto un delizioso quadretto acustico, Feathered Pockets, squisitamente pop ma vaporoso di un calore casalingo capace di dare colore al mondo visto da dietro le finestre, in un grigio giorno di inverno.

Wallis Bird, chitarra sotto braccio, è una cantautrice completa (anche se personalmente preferisco la sua prospettiva interiore e folk), che ha imparato a fare della propria versatile voce, uno strumento non di virtuosismo ma di ricerca di quegli spazi che separano tonalità e stati emozionali: non vi nego che nella conclusiva Polarised una sottile commozione (anche dovuta all'evocazione di Beth Gibbons), ha accompagnato il mio ascolto. Non nasconde le proprie gioie e le proprie insofferenze,  Wallis Bird: pare contenta di essere cresciuta, anche anagraficamente, sapendo ora anche "interpretare" sentimenti inediti al tempo del primo album. In base alle recensioni presenti in rete, sappiamo che la singer-songwriter è anche una trascinante performer, a suo agio con il pubblico come con impegnative cover (Bob Dylan). A darle forza le tante muse che convivono in lei (Ani Di Franco, Fiona Apple, Tori Amos, Alanis Morissette, Joni Mitchell), e un piglio che la rende passionale, poliedrica, contraddittoria. Su questo disco la cantante ci mette il suo nome, la sua faccia, riconoscendosi in esso quasi come in autoscatto: vi consiglio caldamente di passeggiare un po' insieme a lei per le strade del suo variopinto eclettico mondo.

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