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R Recensione

7/10

British Sea Power

Valhalla Dancehall

Forse col senno di poi ho giudicato un po' frettolosamente la carriera dei British Sea Power successiva all'incantevole esordio The decline of the British Sea Power (2003). Rimango dell'idea che il pop magniloquente alla Echo & the Bunnymen di Open season (2005) e Do you like rock music? (2008) rimanga inferiore alle turbolenze power-pop e post-punk dell'esordio, però è sbagliato pensare che quella successiva non sia una fase dignitosa e a suo modo elegante e raffinata per la qualità delle composizioni musicali che la costituiscono.

Nota a parte il primo motivo di giubilo per Valhalla dancehall è il ritorno ad una più accesa eterogeneità (è un caso la presenza in produzione di Graham Sutton, già al lavoro lo scorso anno sul sorprendente Hidden dei These New Puritans?) che rimescola diversi mazzi di carte, rispolverando addirittura la virulente frenesia del primo disco, con quelle isterie energetiche e stilettate post-punk dei Pixies sparse qua e là (Thin Black Sail, Stunde Null), anche se appesantite talvolta da riffoni “realmente” britannici (Who`s In Control).

Altra presenza consistente quella di varianti del post-rock: gli 11 minuti di Once More Now ne sono l'esempio più consistente, ma si gioca molto tra i generi unendo slo-core e dream-pop in Baby (anche se l'effetto è un po' troppo stantìo e impalpabile) o aggiungendoci un soffio caldo di shoegaze nell'ammaliante Cleaning Out The Rooms.

C'è poi l'episodio anomalo ma riuscito di Mongk II: voce filtrata secondo le modalità classiche del dark e arrangiamenti waveggianti, con l'impressione di sentire un elegante brano in stile Echo & The Bunnymen come avrebbero voluto farlo gli ultimi poco ispirati Interpol.

E infine l'immersione nel variegato mondo alt-pop, in bilico tra tendenze sad-rock alla Greg Dulli (We are sound), solarità estive e frizzanti (Living Is So Easy, Observe The Skies) e sentimentalità glam barcollanti tra David Bowie, Suede ed i persistenti Echo & the Bunnymen (Luna, Georgie Ray).

Forse il limite più grande è proprio qui: nella mancanza di spunti melodici di rilievo in grado di spiccare e far ingranare una marcia in più a Valhalla Dancehall. I British Sea Power confermano di raggiungere i risultati migliori quando lasciano scorrere libero il loro estro creativo, che ciò porti a strumentali semi-sperimentali o ad un ritorno alle ingenuità vitalistiche dello spirito punk. La fissazione di voler scrivere la canzone pop perfetta è comprensibile e porta a risultati di rilievo (la ballatona Georgie Ray ad esempio), ma sulla lunga appesantisce il disco con puri riempitivi (Heavy Water), togliendogli personalità e dinamicità.

Nonostante questi limiti Valhalla Dancehall appare senza dubbio il miglior disco prodotto dal gruppo dopo l'esordio spumeggiante di The decline of the British Sea Power. Il che basta e avanza.

 

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 5 voti.
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target 6/10
MinoS. 7/10
Cas 6/10
ciccio 8/10
mavsi 8/10

C Commenti

Ci sono 6 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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mavsi (ha votato 8 questo disco) alle 14:18 del 7 febbraio 2011 ha scritto:

Sono d'accordo con te: è il loro miglior lavoro dopo The Decline.

Anche qui rimangono, comunque, prigionieri, secondo me, delle due contrastanti tensioni che da sempre li contraddistinguono: da una parte la volontà di rimanere fedeli al loro suono, nei loro spazi (We are sound), dall'altra l'aspirazione, il desiderio, mal celato, di trovare la grande hit (living is so easy), che però non gli appartiene.

Nonostante questo il disco è piacevole.

target (ha votato 6 questo disco) alle 12:32 del 8 febbraio 2011 ha scritto:

I British Sea Power continuano a sembrare una band che potrebbe fare molto meglio di quello che poi in effetti fa. Sono ambiziosi di un'ambizione confusa, a tratti epica e magniloquente (arena-pop, direi), a tratti schizoide e auto-distruttiva. Se fin dal primo disco era chiaro che le loro cose migliori uscivano dalla predisposizione psych-ironico-mattoide, poi hanno sempre continuato a mescolare le due tendenze (che peraltro corrispondono abbastanza schematicamente ai diversi stili compositivi dei due fratelli Wilkinson), scrivendo buone canzoni in questa o quella maniera. Anche qui per me sono da salvare alcuni episodi pop ("Stunde Null", "Living is so easy"), e alcuni pezzi a briglie sciolte ("Baby", "Cleaning out the rooms"). Ma è sempre una fatica fare la cernita, superare indenni 11 minuti di noia, pezzi inconcludenti e belle aperture. Band da 'best of', ecco. E qui lo confermano, nel bene e nel male.

FeR alle 14:10 del 8 febbraio 2011 ha scritto:

Io adoro i primi due album, mi piace sia l'abrasione di The Decline, sia la ricercatezza di Opean Season. Anche "Do you like rock music" è un bel disco, benché con qualche influsso canadese di troppo, di cui a mio avviso non avevano bisogno (perché andare a sporcarti con quella robaccia quando sei già bravissimo?). A questo nuovo ancora non mi sono avvicinato (il singolo mi ha un po' deluso, ma magari il resto è differente)...

REBBY alle 19:18 del 16 marzo 2011 ha scritto:

Su questo album concordo con Target e per il best of propongo Living is so easy. A me era piaciuto molto di più il precedente, forse proprio perchè aveva "qualche influsso canadese".

Cas (ha votato 6 questo disco) alle 18:37 del 28 marzo 2011 ha scritto:

parecchio incerti qui i British Sea Power... i pezzi in potenza ci sarebbero anche, ma manca un aggancio (almeno per me), qualche appiglio che trattenga l'ascolto dallo scivolare via... concordo pienamente col targ!

bill_carson alle 2:12 del 25 ottobre 2011 ha scritto:

just another indie band