St. Vincent
St. Vincent
Descritto alternativamente dallautrice come "un disco da party da suonare ad un funerale e lopera più estroversa finora realizzata, St Vincent, di Annie Clark, è un condensato quasi perfetto di pop ed elettronica.
Occorre un po di tempo per penetrare la spessa cortina digitale che si erge ai primi ascolti, ma la vera sostanza delle canzoni è basata sui canoni classici, ossequiati o stravolti a seconda dei casi, seguendo una ispirazione che, come spiega lautrice, riflette i cambiamenti improvvisi ed inaspettati che possono capitare alle persone. Come accade durante un attacco di panico o un momento di ansia. Dopo la collaborazione con David Byrne con Love this giant, ed i seguenti tours, Clark ha ripreso il filo di una carriera giunta con questo al quarto lavoro solista, facendo tutto o quasi da sola (uniche collaborazioni dai batteristi di Sharon Jones & The Dap-Kings, Homer Steinweiss e di Midlake, McKenzie Smith), per creare un piccolo universo di sentimenti e disagi del vivere odierno, ben rappresentata dal singolo Digital witness. E lepisodio più vicino alla recente esperienza con Byrne, con il suo refrain di fiati in marcia, ed ironizza sulla necessità di visibilità degli umani contemporanei: whats the point of ever sleeping, if i cant show it?.
Nonostante i beat, non cè gelo da queste parti, semmai le tracce di una inquieta personalità e di un ever changing mood che comporta variazioni di clima emotivo e musicale abbastanza decise fra un episodio e laltro. Rattlesnake si inarca e sibila come il serpente del deserto di cui racconta, riportando un episodio accaduto realmente allautrice, ed, insieme a Birds in reverse, anchessa sghemba e funky, costituisce il debito più diretto e sincero al mondo dei Talking Heads. Prince John, I prefer your love e la conclusiva Severed crossed fingers (quel synth iniziale dove lo abbiamo già sentito?) dimostrano che Annie conosce molto bene larte della ballad evitando le trappole dellovvio e già sentito.
Huey Newton è un piccolo capolavoro, rivoluzionaria anche nellarchitettura: parte come una marcia condotta da percussioni e tastiere, si stoppa su un volo di synth e deflagra in un refrain degno di un classico hard rock dei 70. Bring me your loves è unaltra diavoleria elettro rock in bilico temporale fra passato e futuro, mentre il finale è riservato alla parte più vicina al pop del campionario, con la filastrocca di Psychopath e la ritmata Every tear disappear. Classica, spiazzante, rassicurante ed imprevedibile, Annie Clark è la cantautrice che occorreva per questi tempi.
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