R Recensione

7/10

Verdena

Endkadenz Vol. 2

L’ascolto di “Endkadenz Vol. 2” ci proietta, ancora e con perdizione, in quel dedalo autistico che i Verdena in questi anni hanno imposto alla nostra scena. Però, sorpresa, certifica anche la natura minore del disco rispetto al precedente capitolo - e, specie, al corso della discografia dei bergamaschi.

Endkadenz Vol. 1” si mostrava come un disco ipersaturo, esteticamente rabbioso, da nero primordiale: ne rimane una bella dose di furia, benché qui le scelte di produzione spingano su un tratto emozionale piuttosto che psicotico/allucinato. Ossia, quella caratteristica che ha reso il primo episodio, per chi scrive, un instant classic contemporaneo per la musica italiana.

C’è da dire che i nuovi brani provengono dalle stesse sessioni in cui è stato concepito il Vol. 1, sebbene si colga chiaramente come il taglio estetico e di produzione giunga da scelte non sempre in continuità. 

Ad esempio i volumi, lì a picco e qui più calibrati e definiti; oppure la scrittura, "oggi" maggiormente istintuale, la quale conduce alcuni brani a compiersi in modo un po' meno brillante rispetto al primo volume - si pensi alla poco ispirata “Fuoco Amico II - Pela i Miei Tratti”. 

Lo sfilacciamento stilistico (sì presente, ma in misura minore nel Vol. 1) si accompagna, questa volta, anche a quello gestaltistico: in questo senso, la visione d’insieme del disco ne esce un po' squilibrata, laddove in “Endkadenz Vol. 1” tutto, stordendo, si teneva legato. Miracolosamente. 

Sottratto parte dello scavo fuzz-shoegaze a favore di riff (i Melvins; lo stoner emotivo di “Cannibale”, ad esempio; post grunge) e groove/pattern più emersi e "lineari" (ma pur sempre abrasivi ed effettati), il disco va al solito di fisicità impeciata (qui tre pezzi, su tutti: “Colle Immane”, “Fuoco Amico I”, “Caleido”), estrosità compositive e d'arrangiamento riversate in due ballate sghembe su tre (“Identikit”, “Waltz del Bounty”: eccellenti), progressioni da rievocazione pre “Requiem” (“Troppe Scuse”,  easy listening ad altezza Suicidio dal tiro new wave, ma con uno stacco di tastiera e stoppato chitarristico che è cosa nuova per il sound verdeniano), strani ibridi a metà tra Endkadenz e Wow (la cromaticità e le aperture lisergiche di “Lady Hollywood”) e vorticose girandole di basso (spettacolare, al solito, Roberta Sammarelli) e batteria - l'ottima “Dymo”, vicina al Vol. 1: ma senza quelle saturazioni. 

In quasi tutti questi casi, la sensazione è che i pezzi sfuggano, perdendosi nel dedalo: il risultato è un collage di composizioni che seguono e sviluppano idee proteiformi. In assenza di una struttura stabile (e da "Requiem" ad oggi i Verdena c'hanno abituati, positivamente, a questo), i brani variano facilmente traiettoria - in modo, però, meno incisivo rispetto a come accadeva nel Vol. 1.

Ad ogni modo, non mancano le bizzarrie estetiche e l’audacia (l'uso del clavicembalo, del glockenspiel e del vibrafono) compositiva, in senso psych pop: si prendano “Identikit” (apice del disco: prodotto ancora da Marco Fasolo, dopo “Nevischio”), la coda di “Dymo” (il solito ma inevitabile rimando battistiano), gli incavi di beat e i cori spettrali nell’abbozzo “Natale con Ozzy” - anche qui, la psichedelia di "Wow" affogata nell'horror.

Sul piano lirico, si rileva un ripiegamento idiosincratico ancor più estremo e una certa involuzione rispetto al primo volume, il quale lasciava spazio a qualche episodio descrittivo. I testi girano incoerenti e a vuoto (non un dato negativo in senso assoluto, per i Verdena) più che altrove, spesso senza restituire un impatto significativo. La voce e l’interpretazione, però, sanno incidere come strumento aggiunto: aspetto che più conta nell’analisi del suono dei Verdena.

Nel complesso di “Wow” e dei due “Endkadenz”, si conclude una stagione artisticamente felice e psicotica per i Verdena. La volontà di Alberto Ferrari e compagni è di ricercare una via di fuga dai labirinti e dalle gabbie compositive create in questi ultimi anni. Ci vorrà una perturbazione importante, così come è avvenuta ai tempi di “Wow”, per mantenersi ad un livello qualitativo eccellente. I Verdena, ad ogni modo, hanno dato prova di saper mutare continuando sempre a crescere, anche in episodi un po’ incompiuti come questo Vol. 2

Si continuerà a confidare in loro: per chi scrive, una delle più grandi risorse del rock italiano. 

V Voti

Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 4 voti.
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creep 7/10

C Commenti

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FrancescoB (ha votato 6,5 questo disco) alle 17:29 del 31 agosto 2015 ha scritto:

Condivido nella sostanza l'analisi di Mauro, e anche i suoi giudizi di valore. L'album zoppica qua e là sul piano compositivo (Pela i miei tratti anche a mio modo di vedere non brilla), le melodie sono meno abbaglianti e riuscite rispetto a quelle del primo volume. Non mancano però i brani interessanti, che sviluppano alcuni delle intuizioni del disco di gennaio (su tutti le due ballate che Mauro definisce - a mio modo di vedere correttamente - sghembe, anche un po' allucinate). In sostanza, voto positivo, ma senza acuti (io sono per una sufficienza abbondante).

ThirdEye (ha votato 7 questo disco) alle 21:58 del 26 settembre 2015 ha scritto:

Loro non mi sono mai piaciuti. Mai capito il perchè di tutton questo hype. Tutto già sentito e stra-sentito. Fino a questo album. Finalmente hanno tirato fuori un qualcosa di più personale ed ispirato. Il Vol. 1 carino. Questo ancora meglio a mio parere. Su tutte "Dymo" (fighissima la coda), il cantautorato acidulo di "Identikit", gli echi Melvins (anche se ai limiti del plahio) di "Fuoco Amico II" con divagazione psych finale e soprattutto "Caleido". Testi talmente ridicoli da risultarmi irritanti e stupidi, come sempre, ma almeno il Ferrari ha imparato a tenere la sua vocetta da castrato bassa nel mix.

ThirdEye (ha votato 7 questo disco) alle 22:00 del 26 settembre 2015 ha scritto:

*plaGio