Loveless Whizzkid
We Were Only Trying To Sleep
È una scelta geniale, quella di disegnare la copertina del proprio esordio come se fosse un volume della Adelphi. Rende sofisticati e sbilenchi ad un tempo. Iconoclasti e intellettualmente alt(r)i, in un colpo solo. Per tacere poi dellenciclopedismo in sottotesto: una volontà di sintesi omnicomprensiva difficile da equivocare. Un po ecumenici e solomonici lo sono, a modo loro, i ventenni catanesi Loveless Whizzkid: unica colpa vagamente fondata e non imputabile alla giovane età. Sarà la smania didentità e di incasellamento dei tempi moderni. Un vezzo che rientra in quella lista, decisamente più polposa, che si chiama sentiamo cosa ne pensa Sacha Tilotta: il che, specialmente negli ultimi anni non ce ne voglia Sacha è divenuto pericoloso, con loffuscamento del giudizio critico e dellefficacia fattuale della mente superiore dei Three Second Kiss (nonché importante costola dei furono? Uzeda, catanesi anchessi manco a farlo apposta).
Alla fin fine, poco cimporta. Nella Treccani di We Were Only Trying To Sleep difficile, a certe frequenze finiscono tutti quegli anni 90 che si riteneva fossero stati seppelliti per sempre: e a Seattle, e negli armadi odorosi di flanella, e nellimmaginario collettivo di suburbs assolate e camere spoglie, sudicie. Vi finisce un mondo, sgraziato, di filastrocche dementi, di riff indefiniti, di strumentali iniziate ma non finite, di melodia disintegrata da fuzz e feedback, di psichedelia da due soldi in crescendo. Non parla un appassionato del genere ed un cultore dellestetica specifica, ma il noise triangolare di Lovely Ball Of Snot innescato da uno strato di arpeggi sovraincisi maniacalmente il gancio dellindolente Jassies Disappeared, perso nella lava tra Nuggets, Nirvana, Pavement e Shellac (con quel basso iperdistorto e catramoso in prima, ma che dico, primissima linea) e linquietudine crepuscolare, azzurrognola di Well Really Miss You, Santa Claus (post rock spigoloso ed esiziale che smotta in sordide armonie vicine allhardcore: cè ancora bisogno di sottolineare come i primi Slint siano, ad un tempo, presto post rock, mediano noise e tardissimo hardcore? Come le tre denominazione valgano una?) testimoniano un songwriting di livello e chiarezza a tratti impressionanti.
Arrivare ad un terzo scarso di disco, e pensare già ai tentacoli proiettati verso il futuro, non è cosa da poco. Se questo power trio farà strada metaforicamente o meno , come tutti ci auspichiamo, diverrà difficile anche solo pensare ad una nuova The Golden Cockroachs Pinball Song, nove minuti e mezzo di pura delizia sommatoria tra le friggioni rumoristiche dei primi Velvet Underground, mazzate di beat psichedelico in pieno volto e gli Arctic Monkeys a perdere pezzi on stage: la sola spregiudicatezza muove queste trame. Difatti, altrove, compaiono già germi di bilanciata moderazione: schema Bleach allopera in Hail To The "Lil" Gorilla e spastici lampi Minutemen neutralizzati da colate weezeriane in Blue Butted Baboons. Ad entrare nella collana Adelphi, però, sarà la lezione deforme di Billie Joes Colourful Laughter.
A buon rendere, ragazzi.
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