Beach Fossils
Clash the Truth
Canzoni da spiaggia con riverbero. Surfedelia. New beach pop. Chiamatela come volete, ma per un anno -forse due- la suddetta scena sembrava avere piuttosto chiare le proprie direttive stilistiche. Chitarrine a tratteggiare le linee di accompagnamento, filastrocche pop, tom e rullante alla Beat Happening, armonie essenziali e lievi striature soft-psichedeliche. The Drums, Real Estate, Desolation Wilderness, Surfer Blood, Best Coast ( ) condividevano, oltre che l'appartenenza geografica (Stati Uniti), lo stesso immaginario: vacanze, spiaggia, mare, indie-pop. Il tutto però filtrato attraverso un mood trasognato e nostalgico. Non musica da vacanza, ma musica per chi ricorda (magari nella propria cameretta in ottobre inoltrato) le proprie vacanze.
Passati tre anni dall'esordio dei Beach Fossils, tra le realtà più promettenti del lotto, è tempo di bilanci. La scena -per farla breve- si è volatilizzata, scontando un'eccessiva impostazione di genere. I tentativi della band di Brooklyn di scrivere pezzi più sofisticati (What a Pleasure Ep, 2011) si sono rivelati poco convincenti, mentre nel frattempo i cugini Real Estate hanno fatto passi da gigante pubblicando quel mezzo capolavoro di Days (2011), capace di smarcarsi dai cliché e di consacrare la genialità del duo Courtney-Mondanile.
Si diceva, a proposito: i Beach Fossils prendano nota. Ecco, non pare l'abbiano fatto. Dimenticandosi le rifiniture del precedente Ep, i nostri tentano di bissare la freschezza dell'esordio con risultati ahimè deludenti. La formula è quella di sempre: la chitarra solista prepara motivi di accompagnamento pensati per essere il piatto principale, capace da solo di imprimere direzionalità e variazioni ai brani, mentre la sessione ritmica segue con patterns mai sopra le righe. Clash the Truth delude per il suo rimanere ancorato ad una dimensione infantile, incapace di evolvere e di andare oltre alla melodia facilona e fin troppo piatta. Tra marcette alla The Drums (Generational Synthetic), uptempo sfasati (la davvero orribile Careless), bozzetti shoegaze/dream-pop (Shallow, In Vertigo), ostentati patterns ritmici (Caustic Cross) si fa fatica a valorizzare i pochissimi ingredienti di cui è composto questo oltremodo auto-compiacente (e noioso) sophomore.
Sembra che la genuinità dell'esordio si sia letteralmente fossilizzata, sedimentata su una formula statica e pedante. Un vero buco nell'acqua. E, detto a caldo, una riemersione sembra a questo punto cosa improbabile.
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