Cold Cave
Love Comes Close
A distinguere un buon revival da un revival superfluo ci sono almeno due elementi: 1) la sovrapposizione al vecchio modello di riferimento di un’attitudine nuova, nella quale si senta l’odore della contemporaneità (penso, in positivo, a Neon Indian); 2) la presenza di una comunanza emotiva con la vecchia maniera, a significare che la sua ripresa non è dettata da pure ragioni di marketing, bensì da un autentico incontro di sensibilità (penso, in negativo, agli ultimi Editors). Se manca uno di questi due caratteri, passi; se mancano entrambi, però, si cade diritti nel calligrafismo. Esiste anche un buon calligrafismo, certo, e il disco dei Cold Cave in parte lo dimostra. Ciò che “Love Comes Close” dimostra ancora meglio, però, è che non basta per costruire un buon album.
Preceduto da qualche Ep e da una compilation di sperimentazioni destrutturate vagamente psicotiche (“Cremations”), questo primo disco sulla lunga distanza del trio americano (Wesley Eisold, Caralee McErloy, ex Xiu Xiu, e Dominick Fernow) riprende il lato più dark del synth pop ’80, per un totale di nove pezzi dalle linee rigide e dai colori freddi che convincono, a ben vedere, soprattutto quando accettano di venire a patti con la melodia in modo più sfacciato. Dove si prolunga la vena electro-noise dei cimenti da piccolo chimico krauto di “Cremations”, si tende a invogliare lo skip (“Cebe And Me”, tra robotica kraftwerkiana e aridità cold-wave, per paesaggi urbano-industriali un po’ troppo ricreati in laboratorio) o direttamente il salto dell’ostacolo (“I.C.D.K.”). Non va meglio dove a prevalere è un incrocio di synth storpiati da un feedback ruvido e accenni melodici narcotizzati: solitamente si finisce in un bagno di monotonia, che sia sospinta da beat sferzanti (“The Trees Grew Emotions And Died”) o ottenebrata da un piglio torvo (“Heaven Was Full”) poco cambia.
Epperò. Quando ai 15 secondi della title-track entra quella chitarra così Bernard Sumner e poi quella linea vocale così "Your Silent Face" (da “Power, Corruption & Lies”: la sequenza di note iniziale è identica), sembra che i New Order migliori siano di nuovo scesi in campo: la voce di Eisold sa vestire, per l’occasione, il mantello del romanticismo, e l’effetto finale è incantevole. In “Youth And Lust”, poi, mentre il beat evolve verso le rotondità ’90, si ritrovano per un’assemblea sulla nostalgia i Pet Shop Boys più accigliati, gli Human League e i Lali Puna (quello spoken word computeristico ai 50’’, così “Scary World Theory”...), sicché si viaggia su uno dei binari electro-pop più spediti dell’anno. Altre stazioni sanno di Gary Numan per l’aspetto spoglio ma esteticamente attento (“The Laurels Of Erotomania”, che potrebbe essere, tra parentesi, il titolo di un romanzo liberty perduto di Guido Da Verona), ma per fortuna poi ci si ferma dove Zola Jesus ha organizzato un party durissimo per poppettari gotici scoppiati, e si gode (“Life Magazine”, notevole). 31 minuti (pochi!), e il viaggio con la macchina del tempo è finito.
I Cold Cave piaceranno ai revivalisti synth pop più convinti, mentre i meno convinti troveranno solo qualche fiore da spiccare. Piuttosto che niente, meglio piuttosto.
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Pagina Myspace: www.myspace.com/coldcave
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