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R Recensione

8/10

Cowboys International

The Original Sin

Ho sempre pensato, anche se a prima vista potrebbe trattarsi di tesi decisamente curiosa, che, fra il synthpop britannico sviluppatosi fra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 e il movimento filosofico dei Sofisti, sorto ad Atene fra la seconda metà del V secolo a. C. e la prima metà del secolo successivo, vi fossero delle sorprendenti affinità e analogie. Per prima cosa entrambi i termini, nell’immaginario collettivo dei non addetti ai lavori, hanno assunto delle caratteristiche alquanto negative, scivolando verso aree semantiche prossime al significato di “autocompiacente”, “artificioso”, “vacuo” e addirittura “ingannevole” (si pensi ad es. alla “sofisticazione” dei vini).

In secondo luogo, chi si è occupato, con spirito più critico e maggiore cognizione di causa, dei due movimenti in questione ne ha potuto, viceversa, riconoscere anche i tratti originali e distintivi, capaci di realizzare importanti mutamenti di costume attraverso linguaggi ed idee innovative che hanno lasciato delle significative eredità in ciò che è venuto dopo. Infine tanto il synthpop che la sofistica possono essere suddivisi in due fasi cronologiche e, insieme, culturali, assai diverse fra loro.

La prima generazione di Sofisti è stata in grado di agire in profondità sul pensiero della sua epoca, rinnovandolo con ardite provocazioni intellettuali e visioni antropologiche del tutto inedite, ma la seconda ondata, la cosiddetta Eristica, ha finito per far prevalere gli aspetti più capziosi, autocelebrativi, appariscenti, fini a se stessi, tradendo i presupposti del movimento.

Analogamente il synthpop ha conosciuto una prima fase assai stimolante musicalmente che, pur non rinunciando alla piacevolezza e al riscontro pop(olare), ha inserito nel suo lessico sonoro riferimenti “colti” (dai Kraftwerk ai Velvet Underground, dai Roxy Music al Bowie del periodo berlinese, dalla musica classica al punk) e non ha mai rinunciato a intrusioni sperimentali e avanguardistiche (si pensi a brani come Bunker Soldiers o The Messerschmitt Twins degli OMD assai lontani dalle ben più conosciute  Electricity ed Enola Gay); poi, con i primi eighties gli aspetti più frivoli ed edonistici, un certo disimpegno dance-oriented hanno finito per prevalere concretizzandosi nell’involutivo fenomeno new romantic.

I Cowboys International  appartengono senza ombra di dubbio alla generazione più creativa e stimolante del synthpop britannico e ne costituiscono, allo stesso tempo, uno degli esempi più affascinanti e misconosciuti. Dietro lo sfavillante, malinconico, solare, teso post-punk neo pop elettronico della band si cela il factotum Ken Lockie, compositore, tastierista, cantante di Newcastle, che sul finire dei ‘70s mette in piedi un vero e proprio supergruppo composto da svariati personaggi della scena punk-new wave inglese che vanno e vengono, ognuno portando il proprio contributo al progetto CI; musicisti come Keith Levene (PIL), Terry Chimes (ex Clash), Marco Pirroni (Adam And The Ants), Steve Shears (ex Ultravox) intersecano il percorso artistico di Ken Lockie che, comunque, alla fine resta l’unica vera ragion d’essere delle note dell’esordio discografico, The Original Sin.

Il suo cantato, che evoca gli Human League e John Foxx, David Bowie e la voce nasale di Lou Reed, dotato di un genuino calore capace di esprimere l’angoscia esistenziale, rappresenta il contrappunto umano alle frizzanti ma algide sonorità degli strumenti. Le canzoni, contraddistinte da testi criptici e dominate dalle tastiere, sono costruiti su riff minimali e metallici, in cui comunque anche il lavoro della batteria e delle chitarre (in particolare il cosiddetto effetto “acquarium” della chitarra di Rick Jacks) riveste non minore importanza: l’impressione in ultima analisi, nonostante che ogni traccia viva di una sua ben definita identità e nessuna somigli ad un’altra, è quella di una comune sensibilità, di un’estrema coerenza compositiva.

Pointy Shoes” è un dissonante punk-pop, giocato sulla contrapposizione fra l’incalzante sezione ritmica ed una stridula armonica a bocca, “Trash” potrebbe essere un brano degli Orange Juice incantati da balocchi digitali, “Part of Steel” vibra di intenso romanticismo e scolpisce suoni fra Roxy Music e Ultravox, “Here Comes A Saturday” è ballad dolcissima via Bowie e Lou Reed, impreziosita dalla tessitura chitarristica di Levene; “Original Sin”, “Aftermath”  e “Hands” sono tre anthemiche, luccicanti pop songs sospese fra suggestioni glam e futurismi sintetici new wave; inizia assai sperimentale e liquida “(M)emorie 62” ma ben presto dà ragione al suo titolo e si trasforma in un divertito pop d’antan, “Lonely Boy” è coinvolgente intreccio di rock-pop-dance con la voce di Lockie al massimo delle sue possibilità fra dramma e gioco. La breve parentesi minimale di “The “No” Tune” (unico brano strumentale del disco)  è breve e commovente sintesi di classicismo e sperimentalismo alla Brian Eno che ci conduce alla conclusiva “Wish”, danza metallica avvolta dalla tessitura chitarristica di uno stratosferico Levene.

La storia dei Cowboys International finisce qui: fra defezioni e problemi con la casa discografica Lockie tenta una carriera solista che parte male (The Impossibile, 1981), si interrompe per un periodo di collaborazione con i PIL e riprende virando in direzione  dance music. Spesso i Cowboys International sono stati considerati un’influente ispirazione per il movimento New Romantic; può in parte anche essere vero, ma certamente nessun gruppo NR è stato in grado di raggiungere la loro profondità espressiva, nessuna band NR è riuscita a comporre un brano come “Today Today” (singolo sfortunatamente non inserito in OS), splendida sintesi di struggenti archi, onde multicolori di tastiere e geometrico techno-beat, vero manifesto di una band seminale, che ha rappresentato una delle vette della new wave electro-pop.

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Voto degli utenti: 8,3/10 in media su 2 voti.
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loson 8/10
REBBY 8,5/10

C Commenti

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REBBY (ha votato 8,5 questo disco) alle 9:20 del 4 marzo 2009 ha scritto:

Non ricordo di aver letto in precedenza un articolo o una recensione sui Cowboys International. Comprai l'album, quando uscì,

grazie alla possibilità di ascoltare i dischi in

anteprima nel negozio in cui mi servivo

regolarmente all'epoca. Me lo sono goduto molto

in quella stagione. In seguito, anche non troppo

tempo fa, quando il mio sguardo si posava sul

dorso della copertina, ho pensato spesso che fosse

il mio disco più "sfortunato", mai omaggiato di

una considerazione postuma. Grazie Benoit! A parte

il discorso sui sofisti su cui non so che dire

(chiederò magari a mia moglie che insegna latino e greco) non posso che concordare sul contenuto

della tua rece.

loson (ha votato 8 questo disco) alle 16:34 del 25 novembre 2009 ha scritto:

Ottima riscoperta, Benoit. Concedimi però un'appunto... Non capisco perchè, per parlar bene di un disco, si deve inevitabilmente gettar fango su un'intera scena (il new romantic). E' davvero così "certo" che nessuno fra Japan, John Foxx, Duran Duran (i primissimi!) o Associates abbia saputo scrivere canzoni al pari della (pur bellissima) "Today Today"? Magari sarà la tua (rispettabile) opinione, ma dal tono dell'ultimo paragrafo ad emergere sembra quasi una verià empirica, il che non ci sta assolutamente. Nel fare affermazioni così "controverse", avrei preferito che ti fossi ben esposto in prima persona (come faccio io, quando voglio fare il bastian contrario ;D), piuttosto che dare al tutto l'apparenza di verità incontrovertibile. Il disco cmq è bello, hai fatto benissimo a parlarne (sei stato l'unico, in effetti, almeno in rete). Non penso che Lockie abbia tutta questa purezza da rivendicare all'interno del calderone wave, considerato che ha bevuto da dove tutti si sono abbeverati (Bowie, Reed, Kraftwerk, etc.), e tenuto conto che i Tubeway Army all'epoca facevano cose simili (persino i Cars dell'esordio hanno toccato i medesimi territori). Per il resto, le canzoni mi sembrano buone ("M(emorie) 62", "Pointy Shoes" e "Aftermath" addirittura splendide), ed è indubbia la sua capacità premonitrice. Un 7,5 ci sta, per me.

REBBY (ha votato 8,5 questo disco) alle 17:42 del 25 novembre 2009 ha scritto:

La mia opinione è che, tra i nominati, Foxx e i Japan abbian fatto meglio dei Cowboys. I Duran

Duran (anche i primi) in diretta erano ascoltati

da un altro pubblico e io non ero tra loro. Gli altri nel loro miglior disco possono giocarsela con questo.

benoitbrisefer, autore, alle 14:23 del 26 novembre 2009 ha scritto:

Non era certo mia intenzione sparlare di gente come Foxx (che ho amato visceralmente nel passato e che ho apprezzato nel recente lavoro con R. Guthrie) o di altri artisti (citi ad es. i Tubeway Army) i cui esordi sono ben precedenti al fenomeno new romantic, il quale per quanto mi riguarda ha fatto proposte musicali anche interessanti ma che ho sempre digerito poco nella sua estetica non musicale, un glam per lo più privo di trasgressione e del senso di ambiguità di quello primi seventies, troppo spesso pacchiano luccicchio di lustrini fine a se stesso(ce li ricordiamo gli Adam and The Ants di Prince Charming, i Visage e altre cosucce di questo genere che personalmente ho faticato allora a digerire e tuttora, alla faccia dei revivals, continuano a non piacermi?). Sui primi Duran Duran non posso dire nulla: non mi facevano impazzire ma erano senz'altro piacevoli e, lo ammetto, conservo ancora il vinile di Rio senza eccessiva vergogna. Su una presunta purezza di Lockie non mi sembra di averla mai sostenuta (anche perché il seguito della sua carriera non mi piace) dico solo che al'epoca i C. I. avevano qualcosa di più da dire, e secondo me lo facevano anche meglio, di Adam and The Ants, Spandau Ballet etc. Comunque sempre questioni di gusti...